di Alexandra Rosati
foto di Gerald Bruneau
Il Museo dell’Hermitage, a San Pietroburgo, è sede di una delle più importanti collezioni d’arte del mondo. Nelle sue trecentocinquanta sale d’esposizione ci sono 60.000 opere, tra le quali dipinti di Caravaggio, Gauguin, Leonardo da Vinci, Picasso, Rembrandt, Rubens, Tiziano, Van Gogh, Velázquez, Matisse e tanti altri. Nato come reggia per gli zar, la sua costruzione venne cominciata per l’imperatrice Elisabetta, e cominciò a prendere le sembianze di un vero e proprio museo grazie a Caterina La Grande, che, nel Petit Hermitage, alloggiava insieme alle numerose opere acquistate sul mercato europeo. Fu all’epoca, nella seconda metà del ‘700, che la sovrana, riconosciuta come ‘protettrice delle arti’, lo diventò a tutti gli effetti. Le opere che andava accumulando diventavano sempre più numerose, il suo alloggio non bastava più, e cominciò a distribuirle anche negli altri edifici dell’antico complesso architettonico, dove le visite non erano più consentite solo a pochi ospiti privilegiati, ma a chiunque desiderasse ammirarle. E Caterina, ispirandosi al marito, decise di proteggerle in maniera molto singolare. La tradizione, infatti, vuole che Pietro Il Grande, dopo aver trovato antiche mappe e documenti rosicchiati da golosi topi, decise di mettersi in casa un gatto, portato appositamente dall’Olanda. La figlia Elisabetta, con lo stesso scopo, si procurò altri felini a Kazan, nel Teterstan, proprio perché rinomati nella caccia ai ratti. Fu così che Caterina, seguendo il loro esempio, arruolò un corpo speciale di protezione, una troupe di gatti randagi nominati ‘Guardiani delle Pinacoteche’, ai quali oggi ogni primavera, nel mese di marzo, quello in cui Pietro portò il primo micio a Palazzo, viene dedicata la giornata del ‘Gatto marzolino salva-capolavori’.
Gli Aristogatti Sanpietroburghesi vivono tra i sotterranei del museo, dove sono conservate centinaia di migliaia di tele, e la riva della Neva. Possono entrare ed uscire liberamente attraverso delle porticine basculanti, riconosciuti dai guardiani, loro colleghi a tutti gli effetti, grazie a dei microchip sottocutanei. Ognuno di questi piccoli eroi ha un nome: Vaska, Persik, Ivan, e così via. Ad occuparsi di loro è stata incaricata Tatjana Danilova, responsabile della sicurezza del Palazzo. Ogni giorno, dopo aver fatto il tour di tutte le sale per verificare che ogni postazione sia stata rispettata dagli oltre trecento guardiani, di cui la maggior parte donne, si prende cura dello staff felino. In un’apposita cucina, da lei creata qualche anno fa negli scantinati, prepara, in alternativa allo scatolame di classe ‘Premium’, prelibate pietanze a base di pollo, pesce e riso, e si occupa della loro pulizia e del loro stato di salute. Tutte le spese sono a carico degli affezionati custodi, che organizzano regolarmente delle collette. Proprio per non gravare troppo sul budget dei suoi dipendenti, il direttore del museo, Mikhail Piotrovskij, ha deciso che il piccolo esercito di gatti, che ne conta attualmente una settantina, ma che in alcuni periodi ha superato addirittura il centinaio, dovrà essere ridotto a massimo cinquanta esemplari. Per quelli in esubero il destino è comunque roseo. Ogni domenica, nel quartiere periferico di Ligovskij, ha luogo una fiera che permette l’adozione di animali domestici, dove di persone disposte a mettersi in fila, sfidando il gelo delle mattine pietroburghesi, pur di diventare “genitori” di questi beniamini, ce ne sono a frotte.
Niente paura, dunque, se trovandovi tra i quattro milioni di visitatori annui dell’Hermitage troverete di fronte all’ingresso un cartello in cirillico che avverte il pubblico: “Attenzione ai gatti”.