Nove tappe, 150 chilometri e due anni di viaggi e sopralluoghi tra Melfi e Castellaneta, percorrendo la Via Appia Antica e il vecchio sentiero della transumanza…
Una vespa PK 125, una macchina fotografica, un taccuino e un lapis.
Questi gli strumenti utilizzati da Sante Cutecchia per raccontare il suo viaggio alla scoperta del vecchio tratturo usato dai pastori per la transumanza tra Melfi e Castellaneta. Tre giorni on the road nell’agosto del 2011 e numerosi sopralluoghi tra il 2009 e il 2013 hanno permesso all’architetto e fotografo pugliese di raccogliere storie e testimonianze delle persone incontrate lungo il percorso e integrarle con annotazioni storiche, tecniche e antropologiche.
Tutti i materiali sono poi confluiti nel libro Il tratturo e la via Appia antica (Mario Adda Editore, Bari 2013), che l’autore presenta ora al pubblico con reading sonori ideati e realizzati insieme al clarinettista e sassofonista Francesco Massaro.
Il progetto è diventato nel tempo un dialogo itinerante con il territorio e chi lo abita, capace di usare linguaggi diversi e modalità di interazione e fruizione sempre nuove.
Con testi, fotografie e suoni, in parte composti, in parte improvvisati, tra melodie arabo-andaluse e graffianti fraseggi avant jazz, le presentazioni di Cutecchia e Massaro rendono omaggio al patrimonio materiale e immateriale di una delle zone meno conosciute della Puglia. Un territorio a lungo dimenticato ma capace ancora oggi di ammaliare il viaggiatore con paesaggi e racconti di straordinaria intensità e bellezza.
Come è nata l’idea del viaggio lungo il Tratturo Regio?
Nel 2009 iniziammo lo studio della rete dei tratturi di Puglia poiché, come gruppo di progettazione, formato con Francesco Farella e guidato da Arturo Cucciolla, avevamo ricevuto l’incarico dai Comuni di Altamura e Acquaviva delle Fonti, per la redazione dei Piani Comunali dei Tratturi. Quei percorsi che spesso da piccolo avevo battuto in bicicletta alla ricerca di masserie e ruderi in abbandono potevo osservarli sotto un altro punto di vista e fare qualcosa per tentare di portarli all’attenzione della comunità.

Durante i sopralluoghi ci siamo resi conto dell’enorme quantità di storie, segni che quei percorsi potevano comunicarci. Basta pensare a tutto quello che l’Appia ha rappresentato e che ancora oggi rappresenta: un antico percorso riutilizzato durante l’impero per gli spostamenti da Roma verso Brindisi e quindi le Terre d’Oriente, fino alla decadenza provocata dall’apertura della via Traiana; ha visto il passaggio di pellegrini che si dirigevano in Terra Santa ma è anche stata via Francigena.
Negli ultimi anni ci sono stati tentativi per inserire i tratturi all’interno di itinerari ciclabili, infatti l’Appia antica rientra in uno degli Itinerari Eurovelo, all’interno di un progetto europeo per la mobilità in bicicletta. Se un tempo su questi antichi percorsi si spostavano eserciti, pellegrini e commercianti, oggi il mio desiderio è quello di vedere transitare viaggiatori in bici o a piedi e non più automobili. Per queste ultime ci sono e si stanno realizzando sempre più strade che ne permettono la circolazione.
L’idea di partire sull’Appia in vespa è arrivata come un’esigenza: non mi bastava più studiare quei territori pregni di storia, o fare sporadici sopralluoghi, ma sentivo il bisogno di viverli e osservarli più da vicino, incoraggiato anche dal prof. Ferdinando Mirizzi, antropologo e dal prof. Arturo Cucciolla, che tra l’altro ringrazio anche per il loro importante contributo nelle premesse della pubblicazione.
Qual è la particolarità della rete dei tratturi in Puglia? Quanti ne esistevano anticamente e come sono conservati? Rispetto ai principali snodi della transumanza dell’Italia centro-meridionale, nel tratto pugliese quali elementi caratteristici hai rilevato?
I tratturi di Puglia fanno parte di una fitta rete di percorsi dedicati alla transumanza che collegavano la regione con i pascoli dell’Abruzzo, del Molise e della Basilicata, toccando in alcuni tratti anche la Campania.
Tutti gli antichi percorsi, e i tratturi in particolare, conducono a storie ed eventi e ne conservano spesso i segni: riposi, poste, ovili, chiese, cisterne, fontane, jazzi e muretti a secco, masserie, taverne. Nel foggiano, inoltre, la rete dei tratturi si infittisce poiché è lì che nel 1443, a opera degli Aragonesi, si istituisce la Regia Dogana della Mena delle Pecore con lo scopo di dare un ordinamento amministrativo alla trasmigrazione delle greggi e introducendo l’esazione di una tassa. Ma la pratica della transumanza delle greggi dai monti alle pianure pugliesi era presente sin da prima della colonizzazione da parte dell’Impero Romano. I Romani trovarono in Puglia un diffuso allevamento di ovini, che incrementarono portando la produzione della lana ai massimi livelli di qualità, ne fu un esempio la pregiata lana di Lucera.
Un’indagine del Corpo Forestale dello Stato eseguita nel 1998 non ci da un quadro molto confortante dello stato delle principali vie armentizie anche se segnala l’uso di brevi tratti ancora battuti dalle greggi durante le stagioni della transumanza. Nel 2010 e nel 2011 ho partecipato a una transumanza sul tratturo Foggia-Campolato ed è stata un’esperienza molto forte, dove la fatica di stare al passo col gregge, per dieci-dodici ore, non si fa per niente sentire in confronto alle emozioni che si possono provare nel veder nascere degli agnelli durante il cammino, nel parlare con i pastori, per la maggior parte stranieri, nel vedere i cani pastore come sanno ben governare il gregge senza spaventarlo e nell’essere partecipi di un’esperienza che chiamiamo paesaggio.

Il tratturo Melfi-Castellaneta per alcuni tratti è ancora visibile a un occhio attento. I tratti più conservati si trovano nei pressi di Melfi ma anche tra Spinazzola, Gravina in Puglia e Altamura. L’individuazione della larghezza originaria di 111 metri della “via erbosa” è spesso facilitata dalla presenza di termini lapidei con l’incisione delle iniziali “R.T.” (Regio Tratturo); sono riuscito ad individuarne cinque in territorio di Altamura e uno a Spinazzola e a Melfi.
La coincidenza di due antichi percorsi, l’Appia antica e il Tratturo Regio, rappresenta un’eccezione per la rete dei tratturi dell’Italia centro-meridionale. Ad Altamura, sul percorso, sono presenti una serie di ovili ipogei utilizzati fino a qualche decennio fa, tra i quali quelli annessi alle masserie in località Jesce: un’area archeologica individuata come mansio di epoca romana. L’importanza del percorso come direttrice per le attività legate alla transumanza anche qui è confermata dal ritrovamento di 400 pesi fittili da telaio tessile. La presenza di taverne e antiche fontane ci può dare un’idea dell’importanza che questo tratto di percorso ha avuto fino ad un secolo fa. Si possono ancora vedere le due Taverne di Viglione e la fonte di Cilivestri, tra Santeramo in Colle e Matera, e la Taverna Candile, adiacente alla fonte romana, a Laterza.
Come si articolano nel tuo progetto l’interesse architettonico e paesaggistico con gli aspetti più fotografici e narrativi?
La fotografia, in primis, e le parole sono per me un mezzo di comunicazione per la narrazione dei luoghi. Naturalmente sapevo di non poter fare una descrizione oggettiva dell’ambiente che ho osservato, quindi lo scatto, la post produzione e la stampa delle foto sono le fasi che hanno portato alla rappresentazione soggettiva di paesaggi. La complessità del progetto stava nel mettere insieme una serie di storie antiche e moderne legate direttamente e indirettamente al percorso che mi accingevo a percorrere per esplorare i territori che attraversa. Non ho potuto fare a meno di analizzare quei luoghi da tanti punti di vista, nei limiti delle mie conoscenze. Le ricerche che ho effettuato prima, durante e dopo il viaggio miravano a conoscere gli aspetti antropologici, architettonici, urbanistici, archeologici e paesaggistici delle aree attraversate dall’Appia antica e dai tratturi compresi tra la Fossa Bradanica e l’Alta Murgia.
I paesaggi che ho fotografato, e le architetture, presenze all’apparenza isolate e spesso in rovina, custodiscono storie passate legate alla transumanza, agli spostamenti di viaggiatori e ai diari di viaggio scritti da intellettuali francesi ed inglesi durante il Grand Tour, ai pellegrinaggi, alle antiche rivolte dei servi pastores e dei baccanti considerati sovversivi, alle tragiche vicende della rivolta dei contadini oppressi dai grandi proprietari terrieri in complicità con il Governo Centrale tra XIX e XX secolo, fino alle vicende della nostra epoca legate per lo più alla distruzione dell’ambiente in cui viviamo, a danno della salute di tutti e a vantaggio solo di qualche conto in banca.

Ma tutto è partito dal mio desiderio di voler conoscere i luoghi. Spero di non perdere mai la curiosità che nutro nei confronti del mondo che mi circonda, che mi tiene “sveglio”. Su questo concetto mi piace citare Gianni Celati: “[…] un’intensa osservazione del mondo esterno ci rende meno apatici, più pazzi o più savi, più allegri o più disperati”.
Puoi descrivere il tuo rapporto con il territorio e con le persone che hai conosciuto lungo il cammino?
Il viaggio, durato tre giorni a fine agosto 2011, è stato fondamentale per riconoscere il tracciato del Tratturo Regio. Partendo in vespa da Mottola, vicino Taranto, ho viaggiato tra il Costone dell’Alta Murgia e la “Fossa” del fiume Bradano per arrivare nei boschi del vulcano spento del Vùlture, fino a raggiungere a piedi gli argini del fiume Ofanto vicino Monteverde. In quei giorni ho sperimentato la possibilità di spostarmi in moto, in solitudine, per percepire a pieno i suoni, gli odori e i paesaggi. Devo dire che a volte è necessario vivere questo tipo di esperienza, si ha come la sensazione di ritrovare quel contatto con il mondo reale, di allontanare l’alienazione che la vita del mondo “civilizzato” ci impone. Durante le soste mi faceva compagnia tutto quello che mi circondava: dall’immensità dello spazio agli insetti, alle piante, agli animali di specie rara che riesci ad avvistare solo se attraversi la campagna ascoltando il silenzio. Mi fermavo a osservare i luoghi, anche quelli che avevo già conosciuto ma ogni volta era per me una nuova esplorazione.
Ho incontrato gente accogliente, persone che vivono nelle campagne tra tante difficoltà: poco guadagno dall’agricoltura e dall’allevamento, l’inquinamento delle falde acquifere e i furti frequenti. A causa della criminalità diffusa nelle campagne mi sono imbattuto anche in gente molto diffidente. In un caso sono stato costretto ad allontanarmi dal recinto della proprietà di un personaggio vestito da cacciatore che minacciava di tirar fuori un fucile dal deposito dal quale era spuntato. Non sapevo che anche tra Spinazzola e Venosa, oltre che nel foggiano, ci fosse lo sfruttamento di ragazzi immigrati; li ho visti chini sui campi sotto il sole per la raccolta dei pomodori sorvegliati dal “caporale”. Di ritorno da Melfi li ho rivisti accampati in un rudere e c’erano anche delle donne.
Che accoglienza hanno i reading da parte della gente del posto?
Ho provato a presentare la pubblicazione sia con incontri-dibattiti che attraverso il reading, insieme a Francesco Massaro: quest’ultima formula, oltre che più divertente per me, attira molto di più la curiosità del pubblico rispetto alla classica presentazione. Al termine della performance nasce spesso un dibattito sugli argomenti toccati. Le immagini, le parole e i suoni, combinate e in equilibrio tra loro, forse arrivano più facilmente al cuore della gente, merito soprattutto di Francesco che ha saputo interpretare molto bene con i suoni quello che ho cercato di comunicare con le immagini e le parole.
Quali progetti per il futuro?
I luoghi, le presenze che non osserviamo, perché viste quotidianamente o perché ci sembrano privi di interesse, che notiamo solo quando ne percepiamo l’assenza, attirano sempre di più il mio sguardo e la mia curiosità. La fotografia è il mezzo che meglio mi fa percepire tutto quello che mi circonda e questo potrebbe portarmi a sviluppare altri progetti o restare solo un modo di vedere.
Con Francesco condivido molte idee che, con i tempi giusti di sedimentazione, stiamo portando avanti. Lo stesso reading nell’arco di un anno si è evoluto sotto molti aspetti. Il testo si è ampliato per dare maggiore spazio all’idea del viaggio e lasciare gli approfondimenti storici agli appunti contenuti nel libro; anche i suoni hanno visto un’evoluzione con dei miei piccoli interventi mentre in una occasione oltre a Francesco Massaro, c’è stato l’intervento di Mariasole De Pascali al flauto e di Pino Basile alle percussioni: mi sono ritrovato piacevolmente a presentare il mio lavoro con una orchestra di musicisti che sviluppano il proprio lavoro praticando la sperimentazione e la ricerca. Da poco ci stiamo divertendo in duo nel progetto cut/e+emak, formazione dedicata alla creazione di atmosfere che si potrebbero definire “noise”.