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testo di Federica Araco | foto di Rosella Marasco

Arrivo correndo alla stazione di Roma Tiburtina.
Ho sette minuti per fare il biglietto, cercare il mio pullman nell’enorme piazzale, lanciare la valigia nel vano bagagli e aggiudicarmi a grandi falcate un posto in fondo al veicolo, che mi auguro non sia strapieno.
Come sempre in ritardo, sono ultima di una fila che mi sembra interminabile. Un signore al botteghino sta chiedendo informazioni dettagliate sulla tratta Roma-Trieste, acquistando il suo titolo di viaggio con ben due settimane di anticipo. Roba da matti, penso.

Fremo, controllando compulsivamente l’orario e augurandomi che il mio orologio si sia per qualche oscura ragione a mia insaputa sintonizzato sul fuso orario di Hanoi.
Invece mancano solamente quattro minuti alla partenza e io, con molte probabilità, perderò il pullman. E non ce ne saranno altri almeno fino a domani.

Il caldo è asfissiante e sono già zuppa di sudore. Riesco miracolosamente a convincere un’adorabile vecchina a farmi passare avanti e mi scapicollo allo stallo 17. Sistemo il trolley, vidimo il biglietto e prendo posto proprio un attimo prima che il motore si accenda.
Anche stavolta ce l’ho fatta, dico tra me e me, promettendomi, come sempre, di organizzarmi con più anticipo per la prossima partenza. Non voglio fare più le cose di fretta, correre come una matta perennemente in ritardo. Vorrei provare ad allentare i ritmi convulsi di questa vita che mi sembra sia in costante accelerazione.

Non è un caso se ho deciso di partecipare al ViaggioLento in compagnia del cantastorie e cantautore calabrese Biagio Accardi e della sua asinella Cometa Libera per i boschi e i borghi del Parco Nazionale del Pollino, al confine tra Calabria e Basilicata. Seguo il progetto da un paio d’anni ma finora non ero riuscita a trovare il tempo per… rallentare, appunto.

L’esperienza è già cominciata da qualche giorno e raggiungo il gruppo alla Casa del Carro, un posto in campagna vicino Lauria circondato da campi di grano, boschi e stradine bianche. In programma ci sono altri due giorni di cammino: attraverseremo un territorio selvaggio e suggestivo, mi dicono, raggiungendo a piedi il piccolo borgo medievale di Ajeta, a una quindicina di chilometri da qui, dove si esibiranno alcuni famosi cantastorie calabresi.

Dopo una deliziosa cena vegana con prodotti a chilometro zero provenienti dall’enorme orto sinergico che si estende appena fuori la cucina, facciamo quattro chiacchiere sotto al pergolato per conoscerci un po’. Siamo una decina, arrivati da ogni parte d’Italia, attirati da un nuovo modo di viaggiare e desiderosi di “rallentare per poter godere del bello”, come si legge nell’ammiccante volantino.

«L’idea di ViaggioLento è stata ispirata dalla lettura del libro di Mauro Geraci Le ragioni dei cantastorie» dice Biagio offrendoci della tisana fresca di rosmarino e lavanda. «Nel testo l’autore raccontava di Orazio Strano, un cantastorie che negli anni Quaranta girava di piazza in piazza partendo dalla Sicilia, attraversando la Calabria fino ad arrivare in Puglia. Oltre a rappresentare questa visione un po’ romantica del menestrello itinerante, per me questa esperienza vuole essere una modalità per lavorare “a chilometro zero”: faccio molti concerti in giro e sono costretto spesso a muovermi per tutta Italia usando ogni mezzo di trasporto. Volevo provare a esplorare e valorizzare il mio territorio, che ha tante ricchezze ma anche tante difficoltà. All’inizio giravo da solo nelle piazze e nei borghi del Pollino insieme alla mia asinella. Nel primo anno ne abbiamo attraversati quindici, proponendo lo spettacolo Canto e Cunto, un viaggio nella vita dell’uomo attraverso la musica, che da sempre ha svolto un ruolo essenziale per scandirne i diversi momenti di passaggio, dalle ninna nanne per addormentare i bambini ai canti di lavoro, dalle serenate d’amore fino alle lamentazioni funebri».

Negli anni ViaggioLento è diventato un contenitore di idee e di proposte e per questa quinta edizione sono stati introdotti tre giorni stanziali alla Casa del carro in compagnia di esperti di reiki, shiatsu, yoga, bioenergetica e alimentazione naturale. «Tutti strumenti di lavoro corporeo che a mio avviso sono molto importanti per rallentare in modo ancor più consapevole», commenta Biagio.

La Casa del Carro è anche la sede dell’Associazione culturale Cattivo Teatro, promotrice dell’iniziativa, ed è in pochi mesi diventata un centro di incontro e sperimentazione: «Volevamo creare uno spazio per esplorare nuove forme di autosussistenza attraverso il lavoro della terra, con metodi biodinamici e sinergici, e di cucina biologica e vegana con ingredienti rigorosamente autoprodotti», conclude.

Le erbe narrate

La sveglia suona all’alba.
L’aria è fresca e, malgrado l’orario, mi sento piena di energie per affrontare le quattr’ore di passeggiata che mi attendono.

Daniela durante il tragitto ci insegnerà a riconoscere le piante, svelandone proprietà e impieghi, dalla cosmesi alla fitoterapia, passando per infusi, tisane e sfiziose ricette.

Assaggiamo il coloratissimo fiore della cicoria, ottimo nelle insalate, impariamo a riconoscere l’iperico, infallibile contro le scottature, e l’elicriso, da prendere in tisana per problemi respiratori o in forma di oleolito per eczemi e problemi cutanei, e la piantaggine, miracolosa contro le punture di insetti, annotando sui nostri taccuini le proprietà di malva, ortica, achillea, timo e salvia.

 


Daniela da circa dieci anni ha lasciato l’efficiente e produttiva Germania per ritirarsi insieme al marito in un piccolo centro del Cilento, a pochi chilometri da qui. «Abbiamo deciso di invertire la rotta, rallentando i nostri ritmi e orientandoci verso un uso più attento e consapevole delle risorse», racconta. «Praticamente non compriamo più nulla. La mattina esco a fare una passeggiata per boschi e sentieri di campagna portando con me un cestino di vimini, un paio di forbici e del filo di cotone. Raccolgo piante e fiori edibili, frutta fresca e poi preparo il pranzo con quello che la natura ci ha offerto».

La loro grande casa, ci spiega, affaccia su una vallata dalla quale è visibile tutto il golfo di Policastro ed è diventata nel tempo un crocevia di appassionati naturalisti, botanici, curiosi, panificatori, amanti del baratto e convinti sostenitori del movimento della decrescita.

La chiave è sempre la lentezza, elemento indispensabile per poter percepire i propri bisogni reali e cominciare con piccoli gesti quotidiani a cambiare direzione.

Un cantastorie 2.0

Biagio cammina davanti a noi affiancato da Cometa Libera, indicandoci il sentiero. Malgrado la sua età (ha poco più di quarant’anni) ha proprio l’aspetto del classico cantastorie: scarpe di cuoio cucite a mano, morbidi pantaloni in tessuto grezzo, gilet in lino e cappellino di paglia per proteggersi dal sole. Se non fosse per il cellulare che spesso usa per postare fotografie o creare eventi sulla pagina Facebook di ViaggioLento, sembrerebbe davvero un uomo del secolo scorso.

«Frequentavo l’Università di Cosenza in un periodo in cui c’era un fermento artistico e culturale abbastanza vivace», racconta. «Lì ho lavorato con la compagnia teatrale Libero Teatro di Maximilian Mazzotta, uno degli interpreti del film Paz, e con loro ho avuto la possibilità di partecipare a vari laboratori. In uno di questi ho conosciuto uno dei miei maestri, Nino Racco, che è stato il primo a mettere insieme le tecniche dei cantastorie con la commedia dell’arte e le sperimentazioni teatrali di Eugenio Barba e di Grotowsky. Fino a quel momento la caratteristica principale dei cantastorie era la staticità, poiché molti erano paralitici, menomati o non vedenti: Nino con il suo lavoro corporeo mi ha affascinato sin dall’inizio».

scorciatoia per la Casa del Carro
scorciatoia per la Casa del Carro

Cresciuto in campagna negli anni di passaggio dal mondo rurale all’industrializzazione, Biagio ha avuto la fortuna di avere una nonna che nelle sere di inverno gli raccontava lunghe e appassionanti fiabe davanti al camino. «Molte sono confluite nel mio repertorio, che nel tempo ho arricchito con un grande lavoro di ricerca e studio dei progetti di altri studiosi, come Otello Profazio ed Ettore Castagna, che per primi cominciarono a raccogliere e valorizzare il patrimonio culturale popolare calabrese e lucano».

Musicista appassionato e ispirato, romantico e visionario, Biagio propone la riscoperta di valori antichi in netto contrasto con le logiche della contemporaneità, a partire dall’accurata scelta del suo compagno di viaggio.

«Il camminare con l’asino facilita nel percorso perché dà l’immagine del pellegrino, che è sempre stato storicamente accolto», spiega Roberta Viggiani, zooantropologa del Movimento Zoè che da anni studia questo animale e propone in Abruzzo trekking, escursioni e laboratori di pet terapy per giovani disabili e portatori di handicap.

verso Ajeta
verso Ajeta

«Oggi i vizi e le virtù che mitologicamente questo animale ha sempre rappresentato, come simbolo del mondo rurale, sono stati gradualmente rivalutati: l’asino porta con sé il valore del cambiamento, della metamorfosi, come raccontava Apuleio ne L’Asino d’oro in cui Lucio può ritrasformarsi in uomo solo dopo aver affrontato e superato numerose prove.
I Romani costruivano le strade sugli itinerari segnati dal passaggio di questi animali, che naturalmente percorrevano i tragitti più sicuri ma riuscivano a sopravvivere nutrendosi di erbe spontanee anche nei territori più impervi.
Nelle culture contadine l’asino era così indispensabile per la sopravvivenza che spesso veniva battezzato entrando di diritto a far parte della famiglia allargata. Era in effetti il fulcro di tutte le attività che si svolgevano durante la giornata e la sua morte causava profonda disperazione, quasi più della scomparsa di un parente.
La prima cosa che faceva il contadino al suo risveglio era andare a prendere l’asino nella stanza dove dormiva, che in genere era attigua alla sua poiché doveva essere protetto e riscaldava gli ambienti domestici con il suo fiato. Inoltre era usato per andare a prendere l’acqua alla fonte, per costruire case e muretti a secco, arare il terreno, macinare il grano, attraversare lunghe distanze trasportando merci e alimenti.
Inoltre, quando le donne avevano troppi figli e poco latte, i bambini venivano nutriti dall’asina mammara.
È senza dubbio la creatura che ha accompagnato più da vicino l’evoluzione dell’umanità nei secoli e continua ancora oggi ad affascinare e sedurre grandi e piccini ricordandoci del nostro passato.
Uno studio dell’Università di medicina veterinaria di Milano, al quale ho partecipato, afferma che uomo e asino sono le due specie diverse che negli anni hanno imparato meglio a comprendersi sviluppando un linguaggio comune grazie alle ore di duro lavoro condiviso insieme».

Di canti e di cunti

Percorriamo un sentiero che costeggia l’autostrada in direzione della costa, tra faggete, castagni e i crinali dei monti Serramale e Gada. Siamo nel cuore del Parco Nazionale del Pollino, stretto tra due mari, che per la sua collocazione gode di un microclima particolare e di una vegetazione rigogliosissima, prevalentemente a macchia mediterranea, anche per via delle numerose fonti e sorgenti naturali.

Dopo circa quattro ore raggiungiamo Ajeta inerpicandoci su una vecchia mulattiera che si snoda lungo il costone della montagna dove il piccolo borgo è arroccato. Il paesino è molto curato, con case dalle forme irregolari e stretti vicoli di ciottoli di pietra. La gente del luogo è cordiale e un gruppo di bambini accorre in piazza a salutare Cometa, ospite ormai abituale da queste parti.

scorcaitoia verso Ajeta
scorciatoia verso Ajeta

Ad aspettarci, accanto alla fontana, c’è Nando Brusco, percussionista e cantastorie, che tra poco si esibirà con lo spettacolo Tamburo è voce. Storico di formazione e appassionato di antropologia, questo musicista continua la sua ricerca artistica e personale consultando archivi, studiando testi e documenti antichi, parlando con la gente e rielaborando poi in modo sincretico le diverse fonti. «Spesso mi ispiro alla poesia dialettale, che per me costituisce una sorgente inesauribile di informazioni su fatti realmente accaduti tratteggiando delle figure meravigliose e lasciando emergere il contesto delle diverse epoche» racconta, mostrandoci i suoi strumenti di diversi diametri, provenienze e fatture.

Poi cala il silenzio, le luci soffuse e giallognole dei lampioni del centro storico avvolgono il pubblico raccolto attorno all’artista che con delicatezza e maestria comincia a suonare. Le sue mani si muovono come farfalle scivolando con estrema grazia sulle pelli che sprigionano un suono pulito e denso mentre la voce si intreccia al ritmo delle percussioni raccontando storie di mondi ormai scomparsi dove personaggi quasi dimenticati hanno vissuto, amato e lottato con coraggiosa e commovente intensità.

«Normalmente i cantastorie si servivano di un cartellone dove erano illustrate le scene raccontate su quadretti numerati dipinti a mano», spiega Nino Racco, altro ospite della rassegna artistica organizzata in occasione di ViaggioLento. «Uno dei motivi del declino dello spettacolo cantastoriale è stata la presenza crescente delle automobili che creavano una difficoltà uditiva notevole interrompendo la comunicazione interumana e costringendo l’artista ad aumentare il volume della voce. Molti cominciarono a usare gli amplificatori, le cosiddette trombe, e alcuni nella seconda metà degli anni Ottanta registrarono i primi vinili per venderli durante gli spettacoli e assicurarsi, così, un ulteriore guadagno. L’irrompere della modernità segnò l’inizio del loro inevitabile declino».

spettacolo di Nino Racco ad Ajeta
spettacolo di Nino Racco ad Ajeta

Poi comincia lo spettacolo.

Con voce e chitarra, alternando prosa e canto, modulando il timbro vocale a seconda del personaggio interpretato e facendo un uso misurato e attento dei gesti e dei movimenti corporei, l’artista racconta la tragica fine della Baronessa di Carini, uccisa dal padre barone per aver ceduto al suo giovane e proibito amore, o la favola di Colapesce, molto diffusa tra i paesi che si affacciano sullo Stretto di Messina.

Davanti alla facciata in pietra del municipio di Ajeta assistiamo, rapiti, all’antico rito della narrazione, coinvolgente e catartico al tempo stesso, che da secoli continua a regalare a grandi e piccini momenti ricchi di fascino e poesia.

Camminare libera i pensieri

Mi sveglio all’alba e approfitto del silenzio della mattina per sgattaiolare senza far rumore dalla camera che condivido con altre compagne di viaggio e spostarmi, zaino in spalla, verso il mare.
Nessuno mi aveva detto che camminare crea dipendenza, e rimango quasi stupita dell’irrefrenabile desiderio che mi spinge a farlo, malgrado la stanchezza fisica accumulata negli ultimi giorni.

In strada non c’è quasi nessuno, a parte qualche pigro muratore ancora assonnato che in bicicletta si dirige controvoglia verso il cantiere e qualche anziano che passeggia in compagnia del cane con un giornale sotto il braccio.
Mi dirigo verso la costa e, arrivata in spiaggia, proseguo affondando i piedi nudi nella sabbia, ancora fresca a quest’ora del mattino.
Sul bagnasciuga, solo qualche accanito pescatore.
Il sole è morbido, offuscato da poche nuvole chiare trasportate da una piacevole brezza.

Procedo in silenzio, seguendo il ritmo cadenzato del mio respiro e il battito del cuore che sembra essersi regolarizzato, ascoltando il rumore delle onde che scivolano tra i sassi.
Più o meno a metà strada verso nessun luogo, decido di fermarmi per riposare un po’.

Mi siedo davanti al mare, restando in silenzio. In lontananza si sente il verso di qualche gabbiano che segue gli ultimi pescherecci di ritorno dalla notte passata al largo.

Respiro per qualche minuto tenendo gli occhi chiusi e mi tornano in mente le parole di Milan Kundera:

Perché è scomparso il piacere della lentezza? Dove mai sono finiti i perdigiorno di un tempo? Dove sono quegli eroi sfaccendati delle canzoni popolari, quei vagabondi che vanno a zonzo da un mulino all’altro e dormono sotto le stelle? Sono scomparsi insieme ai sentieri fra i campi, insieme ai prati e alle radure, insieme alla natura?

Mi sdraio pensando con aria un po’ trasognata ai vagabondi che dormono sotto le stelle.
Dopo un po’, mi alzo e mi rimetto in cammino.
Non so ancora dove andrò, ma so che ci andrò lentamente.

pecore al Carro. ci fermiamo alla sorgente per l'acqua.
pecore al Carro. ci fermiamo alla sorgente per l’acqua.

 

Il prossimo ViaggioLento si terrà nel Parco Nazionale del Pollino dal 17 al 22 agosto in collaborazione con il progetto itinerante Netural Walk a cura di Casa Netural e attraverserà i borghi di Tortora, Ajeta, Piani del Carro, Laino Borgo e Castelluccio.

Per informazioni e iscrizioni:

NaturalWalk3 | facebook.com/events/375174286020169/

Twitter: twitter.com/CasaNetural

Sito Web: benetural.com/

www.viaggiolento.it

www.movimentozoe.com

www.ninoracco.it

Nando Brusco Cantastorie | facebook.com/NandoBruscoCantastorie?fref=ts

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Federica Araco
Dopo anni trascorsi in polverose biblioteche a studiare testi e autori sconosciuti ai più, sforzo coronato da una prestigiosissima, quanto inspendibile, laurea in filosofia, frequenta un master in geopolitica e uno in giornalismo sviluppando un morboso interesse per i temi sociali, culturali e per le dinamiche migratorie. Dal 2008 scrive per la rivista delle culture del Mediterraneo www.babelmed.net, lavorando come redattrice della versione italiana e traduttrice dal francese e dall’inglese. In questi anni ha collaborato e pubblicato anche presso: LiMes, Internazionale, Oltreillimes.net, QCode Magazine e LEFT. Nel 2014 approda a the trip, provando invano a imporre alla redazione cibo biologico, tisane depuranti e uno stile di vita a impatto zero. Cavalcando con coraggiosa sfrontatezza i ritmi folli dettati dal precariato contemporaneo, nel (poco e disarticolato) tempo libero gestisce un centro di yoga, conduce classi di esercizi di bioenergetica, medita, coltiva un orto sinergico, fotografa #coseacaso, studia counselling e gestisce un bed&breakfast.