Hebridean Session
Seduti in cerchio aspettiamo che Garret attacchi con il flauto traverso. Laura, una giovane ragazza che da poco si è trasferita sull’isola, accorda la chitarra seguendo le istruzioni dell’uomo. Poi, con una nota acuta del flauto, entrambi iniziano a suonare. Ava, da buona padrona di casa, incita tutti a partecipare distribuendo tamburelli, sonagli, nacchere e maracas che estrae da una grande cesta. Poi si mette al pianoforte e accompagna la melodia acuta del flauto. Come in un crescendo, il frastuono aumenta ad ogni pezzo, di pari passo con lo svuotarsi delle bottiglie sul tavolo. Garret posa il flauto e si prepara a cantare. Sotto le note del piano e il nostro pesante battito di mani a tenere il tempo, inizia con una vecchia canzone scozzese alla quale tutti si uniscono per il ritornello. Poi si continua con canti irlandesi e melodie gaeliche delle quali solo Garret riesce a pronunciare il testo.
Ero arrivato sull’isola di Lismore pochi giorni prima. Partendo dal mio appartamento di Edimburgo, mi ero diretto a nord verso la Scozia dei grandi spazi per un’escursione attraverso il paese. Avevo trascorso giorni in completa solitudine camminando tra i sentieri e i pascoli delle Highlands, seguendo a spezzoni la via della West Highland Way, che collega con 154 km di verde l’industriale Glasgow al nord rurale del paese. Evitando accuratamente ogni campeggio, passavo le notti nei boschi o in riva a un lago a combattere con il vento e gli sciami di zanzare. Poi, quando finalmente si riusciva ad accendere un fuoco, tutto si calmava, le zanzare sparivano e si potevano mettere i vestiti ad asciugare e le lenticchie rosse sul fuoco. Di tanto in tanto si incontrava un villaggio, si facevano provviste e si scambiavano due parole con gli altri escursionisti, comparando l’attrezzatura e i chilometri macinati a giornata. Poco prima dell’ultima tappa mi ero lasciato la traccia alle spalle e diretto verso la costa occidentale dove si estende l’arcipelago delle Ebridi Interne, o Inner Hebrids, di cui l’isola di Lismore fa parte.
Lismore
Quando contattai Rory e Ava per passare un paio di settimane sull’isola, offrendomi di ripagarli dando una mano nella proprietà, mi raccontarono degli artisti del posto, e di come l’isola fosse rimasta praticamente intoccata per anni. Lismore conta poco meno di 200 abitanti. Molti di questi, se non la quasi totalità, sono famiglie o giovani che hanno lasciato grandi città in cerca di una vita più lenta a contatto con la natura. Con solo 3 edifici pubblici sull’isola, rispettivamente: una scuola, un bar e un piccolo negozio di alimentari, Lismore riesce benissimo nell’intento. La piccola striscia di terra è attraversata da nord a sud da una sola strada asfaltata. La scarsità di infrastrutture è probabilmente una delle ragioni che l’ha fatta scampare al turismo di massa che da anni ormai brulica nell’arcipelago, lasciando intoccata la sua bellezza selvaggia.
Poco dopo essere arrivato sull’isola, Rory e Ava si sono mobilitati per chiamare qualche amico e organizzare una Ceilidh. Rory è un uomo lungo e magro sulla cinquantina che veste sempre con abiti da lavoro. Parla con calma e nell’accento si percepiscono le sue origini inglesi. Nella pausa tra un pezzo e l’altro, mi spiega che ceilidh è il termine gaelico per incontro, tradotto in inglese con “gathering”. Spesso, nelle zone più a sud e popolate del paese, viene inteso unicamente come ballo tradizionale scozzese, quando invece il termine racchiude molto di più. “È l’usanza centenaria dei popoli celti di trovarsi a casa di qualcuno, o in un pub, e passare la notte insieme. Spesso, facendo musica o raccontando storie; ma sono in realtà le persone il centro delle ceilidh, la musica è un pretesto,” mi spiega Rory.
La serata si protrae fino a tarda notte. Garret è completamente rosso in volto. Il flauto l’ha posato da qualche ora e ormai si limita a cantare con gli altri. Ci si scambia ancora qualche chicchera, e infine ci si saluta accordandosi per il consueto bagno mattutino.
La musica dell’isola
Camminando attraverso la grande proprietà della coppia, Laura mi racconta di come da circa un anno abita con Rory e Ava. Dal nord dell’Inghilterra, era venuta sull’isola con l’intenzione di prendersi una pausa dalla vita in città. Poi, semplicemente, non se n’è più andata. Con l’aiuto di alcuni amici, hanno sistemato un vecchio van verde parcheggiato da anni nel garage, hanno aggiunto una piccola stufetta in ghisa e l’hanno piazzato in mezzo al verde ai limiti della proprietà. È lì che dorme e fa musica, dice. Ma la maggior parte della giornata la passa fuori, divisa tra impegni di lavoro e lunghe camminate. Passiamo davanti l’ampio orto della coppia. Laura mi mostra le patate appena piantate e i letti di fiori commestibili. Tutto nell’orto ha una funzione e un posto ben preciso, la menta allontana gli insetti, l’alga locale arricchisce il suolo e le piante di fagioli fanno da supporto per le altre piante. Passiamo oltre il polytunnel e ad una piccola capanna in legno straripante di strumentazione audio. Laura, mostrandomela, si scusa per il disordine. Da quando ha iniziato a registrare il suo album, passa diverse notte lì, mi confida.
“Prima di venire a Lismore non sapevo suonare nessuno strumento. Ho iniziato guardando gli altri, e pian piano ho preso familiarità con la chitarra. A distanza di un anno, con l‘aiuto di Rory, ho finalmente iniziato a registrare le mie prime canzoni.”
Parlando con Laura è difficile non notare il rapporto speciale che tutti sull’isola sembrano avere con la musica e l’arte. È come se fossero maggiormente in contatto con il loro lato creativo, forse anche complice l’abbondanza di tempo libero e la scarsità di altre distrazioni. La musica, in particolare, sembra permeare ogni aspetto dalla vita sociale di Lismore, come se fosse un tassello essenziale che lega insieme la piccola comunità. Dove c’è un gruppo di persone, spesso compare anche uno strumento, e quando manca, non passa molto tempo prima che qualcuno corra frettolosamente a casa a recuperare una chitarra o delle percussioni.
Wild Swimming
Dopo una breve camminata attraverso un pascolo che pare estendersi per tutta l’isola, arriviamo in una baia riparata dal vento. La spiaggia di ciottoli rotondissimi è ricoperta da uno spesso strato di alghe porose. Le riconosco, sono le stesse che avevo visto su al nord durante una visita alla ventosa isola di Raasay, dove un’anziana del posto mi aveva raccontato di come le raccoglieva fresche per farci un’insalata con le verdure dell’orto.
Laura mi dice di non pensarci troppo. Tuffarsi è a sua detta il modo migliore per evitare codardie dell’ultimo minuto. Poco dopo nuota già al largo verso l’altro lato della baia. Lasciato solo con l’acqua all’altezza delle ginocchia, cerco di avanzare timidamente in acqua. Dalla baia, pare che sull’intera isola non vi sia un solo albero, nient’altro che coste rocciose che cadono a strapiombo nel mare. Guardo fisso davanti a me, scrutando all’orizzonte i colli dell’isola di Mull, meta ambita dai turisti inglesi e per la quale chiunque sull’isola pare avere una battuta pronta.
Sono immobile con l’acqua alla vita, quando Garret, che abita a due passi da noi e la cui casa dobbiamo attraversare ogni volta che si prende la macchina, ci raggiunge. Si sposta per l’isola su una mountain bike elettrica, mezzo prediletto per radunare le pecore e tenere il passo del fedele cane pastore. Indossa pantaloncini e maglietta maniche corte, nonostante la temperatura non superi i 15 gradi. Vedendomi in difficoltà, non si fa perdere l’occasione per prendermi un po’ in giro, poi chiede se andiamo al barbecue organizzato da alcuni amici e, in caso, se si deve portare i flauti appresso. Garret suona ogni tipo di flauto che possa accompagnare una chitarra o un banjo. Quello traverso e il flauto corto irlandese sono le sua prima scelta. Suona con la passione e l’impegno di chi di musica ci vive, nonostante non sia mai stata la sua professione principale. Lui, almeno in questa vita, è pastore. Di quella precedente, da giovane trentenne in qualche ufficio di Glasgow, non parla molto volentieri. Quando salta fuori l’argomento, lo liquida in fretta, dicendo quanto sia felice di vivere da pastore, uno vicino alla pensione, per di più.
Prendo infine confidenza con l’acqua e raggiungo l’altra sponda. I fondali, fatti di rocce e alghe coloratissime, sono perfettamente visibili senza nemmeno immergere la testa. L’acqua è di un colore vivo, trasparente, che a tratti riflette il verde impenetrabile dell’isola. La spiaggia di fronte inizia a scomparire dietro una leggere nebbia, dalla quale spuntano grossi scogli e alcune carcasse di pecora portate a riva dalla corrente. Uscendo dall’acqua tutto il mio corpo pizzica come una caramella frizzante. Mi sento elettrico e ho la testa leggera. Poco dopo, i muscoli si rilassano, lasciandomi una sensazione di quiete. Ci asciughiamo e torniamo a piedi scalzi a recuperare i vestiti sul lato opposto della baia.
Rocket oven
Aiuto Rory a costruire un forno in argilla per alimentare una vasca d’acqua calda in giardino. Si tratta di un’ingegnosa costruzione allungata, che ricorda un missile per l’appunto, spesso usata come fonte di riscaldamento in eco edilizia. Accendendo un piccolo fuoco all’estremità, il fumo che si crea viene incanalato nella lunga struttura trasferendo calore nei muri o, come in questo caso, a una vecchia tinozza da bagno.
Durante le giornate di lavoro, mi racconta di come la famiglia di Ava veniva sull’isola fin da quando lei era bambina. Dopo essersi sposati, hanno iniziato a venire insieme per le vacanze, fino a quando sono riusciti ad acquistare un terreno. Negli anni, hanno ospitato decine di volontari, è grazie a loro che sono riusciti a costruire la casa dei loro sogni, mi confida. Rory è un abile carpentiere, una di quelle persone che riesce a costruire praticamente ogni cosa usando gli scarti trovati in garage. La sua vera passione, a suo dire, rimane però la musica. Non è interessato a farla diventare un lavoro, quello che vuole è passare la maggior parte del suo tempo a suonare e scrivere nuovi pezzi. Tutti i fine settimana, si incontra con un un vecchio signore dalla barba bianca nel retro del garage. I due passano ore e ore a scrivere e a suonare, senza mai lasciare nessuno assistere alle loro sessioni private. L’uomo in questione mi dicono essere un poeta, un po’ schivo e spesso scambiato per un eremita. Nessuno lo ha mai visto sul traghetto per la città, e pare abbia scritto centinai di canzoni che si rifiuta di far sentire ad anima viva.
“Molti dei ragazzi che ospitiamo finiscono per fermarsi. La vita qui costa poco, ed è facile trovare diverse mansioni da svolgere per la nostra piccola comunità, pur rimanendo con molto tempo a disposizione da spendere in qualsiasi progetto si voglia,” mi spiega Rory. “Grazie a internet poi, le possibilità sono infinite.”
Barbecue
Incontro alcuni di questi ragazzi che hanno scelto di rimanere sull’isola durante il barbecue organizzato da Gonzalo e Giul. I due, lui messicano lei tedesca, si sono incontrati proprio a Lismore mentre viaggiavano attraverso il paese. Gonzalo è un tipo alla mano, felice di parlare con qualcuno con cui condivide un accento simile. Mi racconta del suo viaggio in Europa, del periodo passato in Svezia e di come, un po’ per caso, si sia innamorato dell’isola.
“È una piccola realtà quasi unica nel suo genere,” dice mentre gira gli hamburger e le salsicce vegetariane sulla griglia. “Il traghetto impiega soltanto un’ora per raggiungere la città più vicina, eppure l’isola è quasi priva di turismo e ovunque regna una certa atmosfera da comunità indipendente.”
Da quando sono qui, non ho sentito nessuno parlare di politica o dei problemi del governo centrale di Londra. Qui, si ha la sensazione che certe cose vengano lasciate alla fermata del traghetto. Regna una sorta di mentalità di autoregolazione, di distacco – fisico e sociale – dal paese. Quando occasionalmente una pattuglia si imbarca per una visita di routine dell’isola, i portuali fanno girare la notizia, che si sparge ben prima che la pattuglia abbia anche solo la possibilità di sbarcare.
“Sono i piccoli privilegi di abitare in un posto tanto isolato.” Mi racconta Isla, scultrice canadese trasferitasi in Scozia da qualche anno. Lei e il fidanzato Finn abitavano a Glasgow, ma il lockdown del 2020 li ha spinti ad allontanarsi dalla città e venire sull’isola. La coppia è giovanissima, Finn deve avere meno di venticinque anni. Lui è appena tornato da un breve tour promozionale. Dice di essere affaticato, di non essere più abituato al frastuono delle automobili e al dover divincolarsi tra mille impegni. “Se non fosse per il violino” dice, “non tornerei in mainland molto spesso.” Mi dicono che qui si sono trovati subito a casa, adattarsi alla vita sull’isola gli è venuto quasi naturale.
“Sono rimasta molto sorpresa del calore e l’accoglienza che ci hanno riservato quando siamo arrivati dalla città.” dice Isla. “Erano tutti entusiasti di vedere i miei lavori, e qualcuno mi ha anche commissionato delle sculture. Ora sto progettando un’istallazione tra le rovine dell’isola, è il mio modo per ringraziare questo posto.”
Isla parla con ammirazione dei paesaggi scozzesi che l’hanno portata tanto lontano da casa, dei tramonti nordici che fanno brillare il cielo dopo una lunga giornata grigia. Forse è questo il segreto dietro la creatività di questo luogo, la sua bellezza privata, l’inaccessibilità e la difficoltà che comporta l’abitare qui chiama l’uomo alla testimonianza. Come in antiche civiltà tribali, tutti sono fondamentali in piccoli centri, e sopratutto, non esistono estranei. In questo contesto il proprio lavoro creativo, o diletto, emerge senza fatica o vergogna, come se fosse un palco privo di giudizio, usato solamente per condividere una parte di sé.
La pantera
Il sole sta calado oltre la riva. Il giardino di Gonzalo si trova ad appena 100 metri dalla costa. L’appezzamento di terra è in comune con gli altri proprietari della schiera di cottage bianchi di cui la casa della coppia fa parte. I vicini non ci sono, vengono poco, solo qualche settimana in agosto. Così gli lasciano volentieri la manutenzione del giardino, in cui Gonzalo ha piantato un piccolo orto. Si è abbassato il vento e le terribili midges, minuscole zanzare nordiche che si muovono in sciami, iniziano a pungerci senza lasciarci scampo. Dobbiamo sgomberare tutto in gran fretta e ripararci in casa.
Qualcuno nell’angolo strimpella piano una chitarra. Garret, un po’ deluso, ha lasciato il flauto dentro la custodia. Seduti intorno al tavolo, mi vengono raccontate alcune storie popolari dell’isola. Quella più discussa involve un felino grande come una pantera, che da qualche anno si aggira misteriosamente per il nord del paese divorando pecore e facendo uscire di strada guidatori colti di sorpresa. Qualcuno sostiene essere un antico animale presente nel folklore scozzese, altri dicono che sia il risultato di animali in cattività rilasciati illegalmente nel corso degli anni. Finn certo non ha dubbi sulla sua esistenza, sostiene di averne visto uno durante un tragitto in macchina nel nord est del paese, che passandogli davanti lo ha costretto a fermare l’auto. L’unico felino selvatico ufficialmente presente nel nord della Scozia è il gatto selvatico, è di piccole dimensioni e ormai quasi completamente scomparso. Eppure, lì nella sera di un’isola intoccata da centinaia di anni, anche un enorme felino preistorico sembra plausibile. D’improvviso i testi di vecchie canzoni che continuano a citare e le storie della tradizione diventano più reali di qualsiasi logica. Così senza troppe domande, continuo ad ascoltare di boschi e di colline, di bestie e musicisti viaggiatori, di storie e canzoni che animano ogni anfratto nascosto del paese.