Nel deserto del Karakum, in Turkmenistan, a circa 260 chilometri a nord della capitale, Ashgabat, si trova un cratere dove il fuoco arde ininterrottamente da oltre 4 decenni. Si chiama Darvaza, termine persiano che sta a significare “porta”, in questo caso la meglio conosciuta “Porta dell’Inferno”.
Il cratere si è formato nel 1971, quando qualcosa in un esperimento di trivellazione petrolifera intrapreso da geologi sovietici non è andato per il verso giusto. Gli diedero quindi fuoco sperando che il gas naturale, intrappolato nel cratere, bruciasse nel giro di poche settimane. Le fiamme al suo interno ardono ancora oggi. Ma forse per poco, dato che il presidente Gurbanguly Berdymukhamedov lo scorso 8 gennaio ha chiesto al vice primo ministro di consultare degli esperti e persino di rivolgersi a consulenti stranieri per supervisionare la chiusura del cratere.
Berdymukhamedov ha affermato che il governo dovrebbe fare il possibile per fermare lo spreco delle preziose risorse di gas naturale e contrastare i danni ambientali. Il cratere è un ambiente inquinante, in quanto le fiamme che vi sono contenute convertono il metano, un gas serra nocivo, in anidride carbonica, un gas serra leggermente meno dannoso. I danni ambientali di questa combustione sono innegabili, ma spegnere il cratere potrebbe essere un’impresa non facile.
Oltre a questo, il Turkmenistan deve fare i conti anche con il potenziale valore economico del cratere stesso. Se fosse in grado di trivellare al di sotto di esso, potrebbe estrarre il gas metano e venderlo come gas naturale. Nessuno sa quanto metano si potrebbe catturare, ma il fatto che il cratere arda da decenni lascia pensare ad una cospicua disponibilità.
Inoltre dal punto di vista turistico, la chiusura del cratere sarebbe poi un duro colpo all’economia turkmena, in quanto Darvaza costituisce senza dubbio la più grande attrazione turistica del paese, visitato da meno di 10.000 persone ogni anno.
di Samyra Musleh
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