di Arianna Spagnolo
Un altro tango, un’altra musica che avvolge e travolge. E così si consuma rapida come una sigaretta al vento anche questa notte estiva. Ci si porta via un po’ di lustro dal pavimento e anche qualche odore che ha confuso il ballo in uno scambio di fragranze e sensazioni piacevoli e spiacevoli, ma pur sempre autentiche. Si respira e si traspira passione, e quando questa viene a mancare resta la poesia, i movimenti rapidi e lenti dei passi, le espressioni, i gesti che ricordano un tempo passato, quasi dimenticato, così lontano che non può che essere rispettato e onorato come un’antica tradizione.
Milonga di cotone, milonga di tiepidi luci soffuse, protagonista delle ipnotiche notti porteñe e ora anche di quelle romane, mi hai lasciato entrare, mi hai permesso di scoprirti e ora mi tieni stretta nei tuoi ritmi sregolatamente nottambuli che hanno finito per manovrarmi come una marionetta felice dei suoi fili.
Socchiudo gli occhi e mi perdo in una concentrazione meditativa. Ascolto e i pensieri cessano tutti.
Incalzano i bassi prepotenti, come scariche di adrenalina, e poi, come una pioggerellina fine, mille violini dolci e rotondi che accarezzano i tasti del piano, che sottile s’insinua tra le pause. Ora esplode il sax e poi all’improvviso si ferma, come in una tensione di dolore, che sostiene ogni coppia in un movimento lento e sinuoso. Un brivido e un lungo silenzio, luci e ombre e ancora un altro giro in tondo.
Un carillon, una giostra immaginaria in cui il cavalluccio oltre a sceglierti ti dirige come una cosa sua. Drappi di stoffe colorate volteggiano e si intrecciano in eleganti passerelle di stili unici e sempre nuovi… tacchi che dirigono e accompagnano passi.
È finito un altro tango e ci vuole qualche secondo per realizzarlo. Sento di nuovo i piedi sotto le gambe e i pensieri affluire rapidi alla mente, come il sangue scorre nelle vene quando si scioglie il laccio emostatico, poi…
Buio. Silenzio. Pochi attimi che si consumano veloci e un altro tango inizia a suonare.
Chiudo gli occhi e mi perdo ancora nell’inebriante follia di un altro incontro, di un altro giro di giostra.
Buenos Aires si risveglia dopo un sabato notte bien porteño. Sono quasi le sette e il sole è già alto, l’aria è fresca e il mio taxi corre libero per le strade deserte di Palermo Viejo. Gurruchaga, Honduras, Armenia, Borges, Plaza Serrano, Zapiola, Dorrego. Quante volte ho percorso queste strade. E se chiudo gli occhi continuo a riconoscerle, perché ormai disegnano un percorso familiare a tutti i miei sensi.
Sembra un mezzogiorno primaverile, la gente fa colazione nei caffè, seduta in tavolinetti o divani all’aperto e si gode l’alba, mentre la sbornia evapora lentamente. Un odore di medialunas, pane e caffè si fa più forte quando passiamo in Plaza Serrano, che si prepara con i suoi mille banchetti alla feria del domingo, che tra poche ore sarà invasa da folle esagitate.
Solo pochi coraggiosi amanti dei sabato a casa sono già in strada a passeggio con il cane. Qui e lì giovani e meno giovani ancora vestiti a festa scorrazzano gioiosi come girandole cercando la strada verso casa.
Le case basse a tinte sgargianti dipingono scorci che sanno di europeo e latino allo stesso tempo. Tutto sa di buono, anche il sedile scomodo di questo taxi.
Il finestrino è basso, il vento mi sputa in faccia, e una piacevole sensazione di freschezza invade la mia mente. Ripercorro momenti, ricordo ed immagino. Mi sento parte di tutto questo e me ne accorgo ogni giorno quando lo osservo.
Questa è la Buenos Aires che adoro, questa la Buenos Aires ineguagliabile. Così silenziosa, discreta, colorata, positiva…
Se la si conosce non è facile restarle indifferenti. Non è facile non cambiare le proprie abitudini, fino a stravolgerle completamente.
La notte e il giorno a Baires si confondono al chiarore dei faroles accesi, tra le ombre che si allungano e si accorciano degli alti grattacieli di cemento del centro e il via vai di migliaia di taxi e auto che consumano senza sosta l’asfalto della Nueve de Julio. Il tempo si perde nei lunghi tanghi appassionati, nei ritmi cadenzati della murga, nel trucco calato degli artisti di strada, nei chioschi “25h” e nelle luci colorate degli instancabili colectivos che sfrecciano furiosi da un lato all’altro della capitale.
Non esiste sosta in questo scorcio di America Latina. Ogni cosa si dilata a tal punto da riuscire ad allentare lo stress del vivere. La si ama o la si odia… ma qualcosa deve necessariamente suscitare.
E mentre continuo a respirare il profumo dell’alba dal mio finestrino cigolante, infiliamo finalmente Amenabar. Ancora quindici cuadras e sono sotto casa… 2489… un numero al quale resterò affezionata nonostante tutto.
Afferro il sacchetto con le mie scarpe stanche. Almeno quanto me. Pochi scalini e sono dentro l’appartamento. E intanto fuori la vita si risveglia in una domenica estiva.
A volte penso… “della nottambula Baires non potrei mai fare a meno”.