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di Marta Saviane

Se diciamo “Italia” pensiamo alla pizza, alla pasta, al cappuccino. Se invece pensiamo alla Germania ecco materializzarsi un bel boccale di birra. Per la Russia c’è il colbacco, per la Grecia le case intonacate di bianco, per il Canada le foreste secolari, mentre per la Groenlandia gli igloo. Ogni Paese, insomma, ha i suoi elementi caratteristici, elementi che in un attimo ci possono parlare di qualcosa di basilare di quel luogo: della collocazione geografica per esempio, o della storia, del clima, delle tradizioni. Si tratta però di cose che ci raccontano solamente un aspetto di quelle singole culture, uno spaccato della loro quotidianità.

Ma c’è un Paese che attraverso i millenni ha saputo riassumere e preservare tutta la sua essenza in un elemento solo: il Giappone con i suoi giardini. Del giardino Zen quasi tutti sanno che si tratta di una distesa più o meno ampia di sabbia arata al cui interno fluttuano pietre lineari e tendenzialmente scure. Qualcuno sa anche che può essere ornato da ponti, lanterne e sentieri di Tobi (pietre di camminamento). E che spesso può essere affiancato a un giardino tradizionale, ricco di piante, bonsai, azalee e fiori di loto. I più esperti arrivano a sapere che vengono usati come opere d’arte o rappresentazioni dei principi Zen. Ma quasi nessuno sa che questi giardini racchiudono in seno la rappresentazione concreta del pensiero filosofico dello shintō e quindi della cultura giapponese in senso lato.

Per chi ama la terra dei Samurai consiglio quindi di leggere “Taccuino giapponese”, un piccolo manuale scritto da Giangiorgio Pasqualotto, edito da Forum, che in 143 pagine riesce a raccontare e allo stesso tempo spiegare il Giappone, quel mondo così affascinante e lontano, così incredibilmente immutato e mutevole, che ancora oggi suscita grande fascino. Si va dai templi buddhisti con la loro magia e le loro statue, alla raffinatezza dei giardini secchi (karesansui), dalle meraviglie della cucina al fascino della scrittura, dalla vita metropolitana con tutte le sue follie e contraddizioni a quella contemplativa delle arti. Il tutto con la natura sullo sfondo (che per lo shintō è matrice dell’esistenza di ogni essere vivente), e soprattutto attraverso la descrizione dei giardini Zen, emblema della Terra del Sol Levante.

L’autore, per esempio, ci mostra le divergenze con l’occidente nella costruzione di un giardino, mettendone in risalto due. In primo luogo l’architettura stessa degli spazi: se nella tradizione giapponese essi sono asimmetrici, apparentemente casuali, e presentano vialetti che terminano all’improvviso, permettendo allo sguardo di perdersi nelle spianate di sabbia, di verde o di acqua, per favorire la contemplazione e la riflessione, nei giardini alla francese e all’italiana tutto è disposto in modo geometrico e rigorosamente prospettico, lasciando poco spazio all’immaginazione. L’altra differenza è l’uso dell’acqua “sui” (necessariamente presente così come la montagna “san” in ogni paesaggio in miniatura “sansui”): l’acqua, infatti, che per sua natura è debole e duttile ma allo stesso tempo forte e vigorosa, viene racchiusa in stagni e dispersa poi in ruscelli (così come nella tradizione cinese), per manifestare l’armonia della sua essenza, lo Yin e lo Yang. “Siamo agli antipodi dell’uso dell’acqua nella cultura occidentale – spiega Pasqualotto – dove perlopiù essa viene esaltata nelle fontane che la sparano in alto in una serie di giochi più o meno complessi, forse proprio perché noi abbiamo privilegiato l’evidenza dell’esuberanza, la volontà di emergere e di eccellere”.

Nonostante la mancanza di punti di fuga e la presenza di linee spezzate e disordinate, quando si cammina in un giardino giapponese si ha comunque una fortissima percezione della presenza dell’uomo. Questo perché per i giapponesi la spontaneità non è il punto di partenza quanto il risultato finale di una lunghissima, talvolta centenaria, opera botanica e religiosa che porta ogni cosa a essere collocata nel suo luogo ideale, ai limiti dell’eternità. Le stesse linee guida che sono alla base della realizzazione di un giardino Zen le ritroviamo nella costruzione delle abitazioni.

Leggendo il libro di Pasqualotto, anche i meno affascinati dalla terra dei Samurai inizieranno ad avere voglia di vedere con i propri occhi un luogo che ancora oggi, nonostante i grattacieli e le insegne al neon, i treni superveloci e l’avanzatissima tecnologia, riesce a venerare gli oggetti in quanto frutto del lavoro dell’uomo, a mantenere viva una professione come quella di colui che “alleva” le pietre per i giardini, a vedere nella natura la vera madre dell’uomo e a mantenere viva la capacità di percepire nel semplice sorseggio del tè una vera e propria esperienza estetica. Un Paese, insomma, dove bellezza, sacralità e semplicità riescono ancora a sopravvivere un po’ ovunque.

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