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Tea e Luisa si conoscono dai tempi di Itaca. Quando il giovane Ulisse, senza pinne e boccaglio, scendeva in apnea con il coltello tra i denti per raccogliere qualche loro sorella ed offrire alla sua Penelope una delle prelibatezze della Sicilia.

Tea e Luisa ne hanno viste e sentite di tutti i colori. Da quando i romani con le ancore gettate a mare e le vele riempite di vento assalirono e sconfissero i cartaginesi durante la Prima Guerra Punica, quando il mare si tinse di rosso e la spiaggia di Favignana – oggi assalita da frotte di turisti – prese il nome di Cala Rossa.

Erano li, quando il primo pescatore entrando in una delle grotte naturali di Marettimo pensò di vedere un cammello e per primo battezzò quella che nel tempo è diventata riserva naturale. La Cattedrale (famosa per le immersioni subacquee) stava ancora formando le infinite stalattiti e stalagmiti che costellano le pareti della grotta.

Tea e Luisa hanno visto i fenici arrivare e gli arabi tornare. Hanno sconfitto Barbarossa e cacciato i turchi, hanno accolto i Mille e sfamato i soldati di due guerre mondiali. Hanno parlato in così tante lingue e idiomi che oggi fanno fatica anche a distinguere il trapanese dal marsalese.

Nell’isola più ad est dell’arcipelago delle Egadi, Tea e Luisa hanno preso una decisione. A dir poco drastica. Abbandoneranno il loro scoglio per buttarsi in mare aperto.

Nei secoli coloro che passavano per quel triangolino di Mediterraneo, dal pirata Khair-Ad-Din Signore di Tunisi fino a Ferdinando I che nel 1844 fece chiudere la cisterna scavata ai piedi del Castello di Punta di Troia, tutti, ma proprio tutti, avevano sempre rispettato le Regine dello scoglio, una stirpe che ancora oggi conta 850 specie viventi di cui venticinque solo in Italia.

Paracentrotus lividus è il loro nome. Della famiglia degli Echinidae. Ricci di mare.

È una decisione sofferta, ma Tea e Luisa, femmine fino alla punta dell’ultimo aculeo, non possono sopportare il ripetersi dello scempio dell’estate passata. Quello strano rumore, l’acqua che diventa torbida. Uno strappo. E un altro ancora. C’è una corrente assassina che trascina via tutto quello che trova sulla roccia. Alghe, molluschi, granchi, ricci, pomodori e datteri di mare, crostacei e simili. Un intero ecosistema spazzato via.

Tea e Luisa erano lì, hanno visto questa specie di aspirapolvere marino che risucchiava anche le conchiglie di Marettimo. Loro sanno. Ma cosa possono farci? L’unica soluzione è il salto nel vuoto.

Eppure per un attimo ci avevano creduto. In tutti quegli anni passati sott’acqua insieme, in quello che sapevano essere un piccolo miracolo nascosto nelle acque della Sicilia, avevano sperato di scamparla. Dall’inquinamento, dalla pesca di frodo, dai turisti. Eppure loro, che avevano sconfitto i cartaginesi, capitolavano davanti ad un Folletto.

Avevano creduto che con quel minimo di rispetto che si usava in un’isola di 700 abitanti ci si potesse riempire il mondo. Non pensavano fosse solo un’idea, lontana mille miglia dalla realtà. Non pensavano che anche la loro distante isola fosse diventata alla fine il pied a terre dell’inciviltà.

Ferite nell’orgoglio Tea e Luisa si guardano, si fanno coraggio e dando un ultimo sguardo a quel luogo felice che già ripopola la loro futura mente, si lasciano andare nel blu.

Negli ultimi anni la pesca illegale dei ricci di mare nelle isole Egadi (che comprendono le isole di Favignana, Marettimo e Levanzo) sta non solo danneggiando l’economia locale delle isole ma sta provocando danni irreversibili all’ecosistema locale.

Valentina Diaconale

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