Tempo di lettura: 2 min

di Elena Adorni
foto di Rosario Oddo

L’ho incontrata nel bel mezzo del suo peregrinare. I capelli biondicci e l’aria fiera, di chi ha qualcosa da raccontare. Uno zaino pieno per metà di rullini sudamericani ed una vecchia Canon. Il suo viaggio si divide in tre capitoli: Europa, USA e ancora Europa. Può sembrare strano, ma era il modo più economico di spostarsi da un continente all’altro. Tutto iniziò in un giorno di luglio, partendo da Barcellona per fuggire verso nord, evitando l’estate ed i turisti. Così esplorò il Belgio, la Repubblica Ceca, l’Austria, l’Ungheria e la Svezia, per poi tornare verso il Mediterraneo, quando il caldo estivo si andava placando. Vide la Francia, l’Italia, la Grecia ed il Portogallo. A novembre decise che era tempo di andare ancora. Attraversò l’Atlantico per iniziare la seconda parte di viaggio: in tre mesi s’innamorò di NYC, San Francisco, Seattle e Vancouver, passando per piccole città californiane. Scoprì un intero continente attraverso i suoi abitanti, attraverso i visi degli amici che la ospitarono e che le mostrarono l’America. Gli ultimi due mesi di viaggio si svolsero in Europa, per dire arrivederci ai posti più amati, forse i suoi punti di riferimento: Roma e la Spagna, stavolta però fredde e grigie d’inverno.
Nove mesi in giro per il mondo, dormendo su materassi di case sconosciute, pullman, battelli e sacchi a pelo. Rosario Oddo è una nomade dei nostri tempi, una ragazza chilena che ha trovato nel movimento una ragion d’essere, un modo di vedere il mondo. I popoli nomadi si spostavano anticamente per rispondere a necessità economiche e di sussistenza. I pastori, vivendo in simbiosi con le loro mandrie, si muovevano insieme a loro durante l’anno per utilizzare tutti i pascoli disponibili. Oggi i fattori che ci spingono a partire sono cambiati. I pastori non esistono più, esistono persone che rifiutano la quotidianità e le aspettative materialiste e soffocanti tipiche dell’occidente. Esiste chi non riesce a trovare il proprio posto nel mondo restando fermo e decide di cercarlo muovendosi, viaggiando senza una meta. Chi non si è mai emozionato di fronte ad un Alex Supertramp che brucia i soldi sognando di vivere, viaggiare e morire nelle terre selvagge? Chi non ha mai sognato di partire su un chopper attraversando l’America, lanciando a terra l’orologio?
È il fascino del viaggio e della scoperta, insito nell’uomo dai tempi di Ulisse. Un viaggio fatto di colonne d’Ercole ma anche di Itaca, la madre-terra odiata ed amata, cui si ritorna sempre, prima o poi. Viviamo in una società in cui le persone hanno un estremo bisogno di ritualità, ed un viaggio lungo e solitario può diventare un rito d’iniziazione per cominciare la ricerca di sé, un sé in continuo confronto con l’altro. Ma è anche l’euforia di vivere una vita fuori dall’ordinario, dove non esiste quotidianità, a farci sognare quella parola che suona così bene: partire. È la ricerca di libertà che ci attrae. Rosario mi rivelava che era proprio il viaggio a renderla così potente e luminosa. Era il viaggio a renderla migliore.
Il racconto fotografico del suo spostarsi ci porta in una dimensione di tranquillità estrema, di pace dei sensi, di fronte ad un sipario che si apre, mostrando l’universo umano, urbano e naturale che ci circonda. Con semplicità ed eleganza. Volti tristi e felici, profili e schiene, un furgone americano abbandonato, una casa, meduse che nuotano in un acquario, fiori, piante ed alberi, grattacieli, il mare ed una spiaggia inondata di gabbiani. Fisarmoniche e luci al neon, aeroporti e stazioni e treni. Il mondo in tutte le sue contraddizioni e tutta la sua bellezza. E la sete di muoversi, e scoprirla.

[nggallery id=51]

Articolo precedenteLa storia dell’astronave
Articolo successivoil giornalismo empatico