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Si può tramandare una ferita? Forse. O forse semplicemente si può interiorizzare un’emozione ereditata da una generazione passata, come nel caso di “El vestido de Dora”, docufilm in cui il protagonista e autore, Maxi Manzo, compie un viaggio per risanare quella voragine provocata dallo sradicamento culturale dei suoi nonni, espatriati dall’Italia verso l’Argentina negli anni ’50.

Il gemellaggio che esiste tra Italia e Argentina è una lunga storia di migrazione, accoglienza e sincretismi. Tra il 1871 e il 1900 il flusso migratorio verso questo Paese ha coinvolto più di 800 mila italiani, una media di quasi 9 mila persone l’anno nel primo decennio, 39 mila nel secondo e quasi 37 mila nel terzo. Numeri che si aggiungono a quelli di tanti altri expat e italo- discendenti dello Stivale in giro per il mondo, che oggi si stimano intorno agli 80 milioni.

I fattori scatenanti di questa ondata migratoria sono ancora oggi oggetto di un ampio dibattito storiografico, ma tra questi possiamo certamente annoverare cause di tipo economico.

La nascita del progetto

Maxi Manzo è un musicista e operatore culturale argentino, motivato dal forte desiderio di riscoprire le proprie radici italiane che nel docufilm “El vestido de Dora” sviluppa in un’indagine di ricerca genealogica, intessuta in un fil rouge di musiche e canti popolari autoctoni del sud d’Italia, in particolare abruzzesi e molisani.

Il progetto è stato finanziato dalla Regione Molise (Servizio politiche culturali, di promozione, turistica e sportiva – Rapporti con i molisani nel mondo) dalla Regione Abruzzo (CRAM -Consiglio Regionale degli Abruzzesi nel Mondo), dal Consolato d’Italia Mar De Plata e patrocinato della Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Un documento testimone di un fenomeno di ricerca identitaria che sta emergendo grazie anche all’Associazione RAIZ ITALIANA che da anni si impegna a rinsaldare il legame esistente tra l’Italia e tutti gli italiani nel mondo.

Un viaggio nella memoria

“El vestido de Dora” è un prodotto cinematografico alimentato da un repertorio familiare in Super 8 digitalizzato e poi inserito in un contesto narrativo, dove le testimonianze di un microcosmo sono rappresentative di una collettività intera. Dalle esperienze personali, infatti, si ripercorre la storia, in un certo senso, di tutti i protagonisti della diaspora italo-argentina di quegli anni. Un fatto sociale che si trasforma in un espediente per costituire realtà associative fuori dal Paese natale, dove rivivere le proprie tradizioni, custodire e valorizzare una memoria delle origini.

In questo racconto ci sono tutte le fasi di un viaggio. L’ispirazione, la ricerca e poi l’incontro con il territorio. E in quest’ultima fase Manzo ci commuove, quando la tecnologia e la modernità si scontrano con la memoria ancestrale offuscata, ma al tempo stesso vi arrivano in soccorso. Con una videochiamata suo nonno può vedere in diretta ancora una volta la casa dei suoi antenati, oggi inglobata in una grande albero che proprio grazie alle sue radici ne mantiene compatte le fondamenta.

Il turismo delle radici

L’albero genealogico di Max poco a poco prende forma e cresce in lui il desiderio di rivitalizzare quelle resistenze culturali, lascito delle precedenti generazioni come canti, danze popolari e tradizioni culinarie.

Un patrimonio immateriale che è ciò che centinaia di altri oriundi italiani ricercano in una nuova forma di turismo, coniato appunto turismo delle radici. Un target riscoperto e già riconosciuto anche dal Ministero degli Esteri con un potenziale che inciderà sulle nuove forme di offerta turistica rilanciate dal PNRR.

Un nuovo tessuto culturale

Dora è la nonna dell’autore e in questo racconto dedica a lei la sua ricerca, un percorso emotivo e introspettivo per riscattare un’eredità culturale e risanare uno strappo. Una faglia, quella di Dora che l’ha separata dalla sue origini e oggi viene ricucita attraverso un tessuto radicale nuovo, un inedito sentimento di appartenenza non più nostalgico, ma che volge uno sguardo al futuro e dove la memoria ancestrale ne custodisce il seme.

di Samyra Musleh

 

 

 

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Samyra Musleh - Chief Editor
Antropologa, divulgatrice scientifica e content manager è caporedattrice per ThetripMag a tempo pieno. Ibrida dalla nascita, metà italiana e metà giordano palestinese, vive rincorrendo la cosa che ama di più: andare a caccia dei vocaboli giusti per raccontare storie che rimangano impresse. Ama la natura ma anche la tecnologia, i contesti multiculturali, il giornalismo d’inchiesta e i libri di fantascienza. È sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo da sperimentare e posti nuovi da conoscere. Iperattiva e versatile, prova a reinventarsi ogni giorno per non soccombere alla giungla urbana che la circonda insieme al suo fidato compagno di vita a 4 zampe.