di Marco Costa
Tutta colpa del ragionier Fantozzi. È lui la vera nemesi del cinema d’autore bolscevico. Dopo il suo diktat, scagliato ormai nel lontano 1976, con i suoi novantadue minuti di applausi in risposta allo scatologico giudizio sulla pellicola del povero Sergej M. Ėjzenštejn, nessuno è più riuscito a relazionarsi con La corazzata Potëmkin senza avvertire anche solo in sottofondo l’eco di quel binomio: cagata-pazzesca.
Ma cos’avrà mai questa pellicola del 1926, punta di diamante nella storia del cinema russo e non solo, per essersi trasformata ingiustamente nello stereotipo del mattone indigeribile da ostinato cinefilo feticista? La trama, questo sì, ancorché una testimonianza storica, non è delle più allettanti. Narra, con qualche licenza, dell’ammutinamento dei marinai dell’incrociatore corazzato K. T. Potëmkin, scoppiato a Odessa il 27 giugno – uno degli episodi che si svolsero in Russia durante i movimenti rivoluzionari del 1905 – cui si aggiunsero i cittadini di Odessa che per solidarietà ai lavoratori rivoltosi si riunirono sulla celebre scalinata del porto dove furono trucidati dai soldati cosacchi. Eppure travalicando l’intento propagandistico del soggetto, accantonando per un attimo l’occhio della madre, la carrozzina e lo stivale del soldato, quest’opera portava in sé già all’epoca della sua uscita i germi del cinema sensazionalistico contemporaneo, di certe sue astrazioni simboliste e di azzardi linguistici. Nel montaggio in special modo. Per infondere dinamismo e frenesia alla materia cruda di una rivolta repressa nel sangue, il geniale regista e teorico sviluppò ulteriormente il montaggio delle attrazioni, un metodico assemblaggio fra le inquadrature volutamente frammentario, scomposto e disturbante, volto a scardinare le desuete strutture percettive e a procurare nello spettatore un lavorio d’intelletto. Sarà che all’epoca dall’arte cinematografica ci si aspettava uno slancio educativo quando non una catartica guarigione, e in tal senso i funzionari del Partito non erano certo dei dabbenoni. E fu così che nel corso del Novecento questo ambizioso pamphlet rivoluzionario, erroneamente considerato prolisso ed ermetico, si trasformò nella bandiera dei cineasti più irriducibili, primo fra tutti il megadirettore del ragionier Fantozzi: Professor Guidobaldo Maria Riccardelli. Un peccato originale che a cascata s’è riversato fino ad oggi, passando per autori d’ingegno e d’impegno quali Andrej Tarkovskij, regista tra gli altri di Solaris, e Andrej Rublëv, autentico radicale del cinema poesia, o Nikita Michalkov, impegnatissimo autore de Il Sole Ingannatore, che gli valse il Premio Oscar come migliore film straniero nel 1995. Il discorso sarebbe più ampio, ma in fondo, a chi interessa intrattenersi col cinema sovietico quando puoi scaricarti Una notte da Leoni 3?
A ben vedere la Russia di oggi è un gassoso baraccone sideralmente distante dall’ardore intellettuale del passato, dove la sobrietà è sostituita dall’ostentazione, il rigore dal clamore, l’essenziale dal superfluo e a sollevarsi contro l’imbastardimento culturale, che sia imbracciando una macchina da presa o stringendo in pugno una penna, sono rimasti in pochi e di pazzesco non s’evidenzia che l’indifferenza dormiente di un popolo, che a protestare sulle scalinate, col cavolo ci torna più.