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di Marianna Kuvvet

foto di Carlotta Cerulli

In questo momento vorrei essere in Brasile. Chi non vorrebbe? Abbandonare il caos, la pioggia ed il cielo grigio di Londra per le spiagge e i colori brasiliani. Stranamente, però, la prima cosa che mi viene in mente pensando al paese sudamericano non è il carnevale, non è il cliché della samba, non è il calcio. Sono i BRIC. Reminiscenze dei miei stimolanti studi economici. Brasile, Russia, India e Cina, accomunati dall’estensione del territorio, dalla numerosità della popolazione e dell’abbondanza delle risorse naturali, nonché da un’importante crescita del PIL all’inizio del XXI secolo. Una noia mortale. D’altra parte sono queste caratteristiche che hanno portato il Brasile ad essere terreno fertile per la creatività indigena e fonte di opportunità per quella estera. Il mondo della moda rappresenta a pieno la situazione economica generale della nazione: nessuna via di mezzo, o si è ricchi o si è poveri, o si spendono quattrocento dollari per una t-shirt o pochi centesimi. I luxury brand più famosi si sono affrettati ad invadere il mercato brasiliano e i designer locali si sono fatti strada nelle riviste e sulle passerelle internazionali, supportati da una nazione profondamente orgogliosa e per lo più autosufficiente, che incoraggia il proprio commercio, la propria produzione, i propri artisti.

Fra questi ultimi sicuramente rappresentativo è Alexandre Herchcovitch, il cui marchio di fabbrica, dei teschi che lo stilista fa costantemente comparire sulle proprie creazioni, hanno rappresentato un vero e proprio simbolo della gioventù brasiliana negli anni ’90. Le sue creazioni nascono in Brasile ma hanno conquistato le capitali della moda mondiale. Herchcovitch ha presentato sulle passerelle newyorchesi una collezione invernale che vede una donna elegante e classica, quasi rigorosa, ma al tempo stesso ultra femminile, originale e moderna. D’altra parte il designer è da sempre abile nel conciliare l’inconciliabile, riuscendo a rendere innovativo ciò che è semplice, moderno ciò che è classico e tradizionale. I toni sono principalmente quelli sobri del nero, del grigio scuro e del sabbia, interrotti e valorizzati da interi abiti o piccoli particolari di un acceso giallo acido.

Altri nomi bandiera della moda carioca sono quelli di Gloria Coelho e Reinaldo Lourenço. Lei, quasi sessantenne, da tre decenni crea abiti ricercati caratterizzati da forme e volumi originali e futuristici. Lui, classe 1960, ha iniziato la propria carriera come assistente della stessa Coelho. Il legame fra i due va, però, ben oltre l’ambito lavorativo, sono infatti sposati e hanno un figlio, Pedro Lourenço, a sua volta stilista e già paragonato nientedimeno che a Nicolas Ghesquière. Quando si dice buon sangue non mente. Il giovane Lourenço può facilmente essere definito un piccolo genio della moda, con la prima collezione creata per Carlota Joakina in occasione della San Paolo Fashion Week nel 2003 all’età di dodici anni (si, dodici) e la propria griffe lanciata a due anni di distanza a Parigi. Oggi le sfilate di Pedro vedono personaggi del calibro di Anna Dello Russo e Carine Roitfeld affollare le prime file. La collezione AW12 è a dir poco impeccabile e rende chiaro il motivo del paragone con il direttore creativo di Balenciaga. Sembrerà sicuramente curioso il fatto che nel novanta per cento dei casi le giovanissime promesse del mondo della moda abbiano dei cognomi importanti, ma stavolta il talento è lampante. Pedro Lourenço, prima di iniziare a disegnare le proprie collezioni, ha collaborato con Lanvin e Vogue Brazil e probabilmente è in grado di manipolare il tempo, poiché ad oggi ha solo vent’anni. Potendo scommettere sul futuro della moda brasiliana io punterei su di lui. Sarebbero soldi facili.

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