di Giulia La Starza
Dopo la prima tappa, l’arrivo dall’Italia a Beirut, prosegue il diario di viaggio della nostra viaggiatrice in Libano
TAPPA 2 – DA BYBLOS A BATROUN
Prossima parola chiave diventa “Tripoli”, con consecutiva indicazione a gesti verso una direzione. Mi dirigo, vedo un pulmino che si sta muovendo, dico la parola magica, gesto di salire. Siamo una decina, uomini, donne, ragazzini, nessun turista, solo arabo la lingua. Partiamo, passo in posti di cui non so nome ne ubicazione, ma so che sto andando verso tripoli.
Sono 30 gradi, l’estate è per loro alla fine, io sono vestita di nero, braccia e gambe coperte, Tripoli non è Beirut, ho caldo, non respiro, i finestrini sono tutti aperti. Mi guardo intorno, si passa dalle basse baracche ai grandi centri di vendita simil centro commerciale, poi colline piene di alberi, con case alte e dritte che non so per quale ragione mi ricordano l’architettura sovietica. Sto soffrendo, la donna a fianco a me, è evidente, anche, forse sono proprio io ad infastidirla. Superiamo il Casino du Liban, sulla superstrada che collega Jounieh al Nord. Sono solo 30 km, ma ci abbiamo messo circa 50 minuti.
Di rumori di strada, musica araba, la porta del pulmino che si apre e chiude continuamente, il vento del finestrino mi stordisce, ovviamente l’autista naviga su una media di 120kmh nei tratti di strada sgombri, cosa che non mi rassicura oltretutto molto. Non resisterò altri 55km, quindi decido per fermarmi a Jbeil, Byblos.

Vengo nuovamente abbandonata sulla superstrada, con indicazione a gesti di una macchina che sembra un taxi, per raggiungere il mare. Dopo 5 minuti di tratta, e la soddisfazione di aver sentito la prima parola francese pronunciata da qualcuno in Libano, arrivo. Mi sembra di essere in un sogno: il sole è caldo, mare calmo, deserto. Un piccolo porticciolo con un bastione che pare essere di epoca fenicia, e una piccola cittadella, che si arrampica su una lieve collina. Passeggio sul mare, mi fermo in un piccolo ristorante di pesce che sembra voler rievocare i fasti di un momento in cui i Francesi erano sempre qui a divertirsi.
Mangio bene, tutto rigorosamente sterile da influenze mediorientali se così si può dire, senza aglio ne cipolla, osservo il mare e vado. Salgo piano verso la cittadella, su grandi scalini bianchi, cammino, stradine piene di piante, e poi mosaici, una chiesa risalente al XII secolo che si affaccia su un giardino di ulivi, una pace incredibile, una luce tiepida, ma non troppo calda, un’aria leggera, di cui non posso che essere più che felice.

A questo punto voglio provare ad arrivare a Batroun…Ma di riprendere il cosiddetto autobus dalla superstrada non è per me accettabile, cedo nuovamente per 20 minuti dell’odiato/amato taxi, per 12 USD.
Dopo 20 minuti in strada con il mio nuovo tassista libano-canadese arrivo a destinazione. Ma il tassista John da solo, merita una menzione specifica in questo racconto. Salita in macchina, godendomi l’aria condizionata, gli chiedo il suo nome.
“John”.
“Ok, yes, but in Arabic that would be?”
“Still John”.
La famiglia di John, è emigrata in Canada allo scatenarsi della guerra civile nel 1975. Lui è nato e cresciuto lì, per poi tornare 14 anni fa per stare vicino ai suoi genitori rimpatriati a fine anni ‘90, per problemi di salute. Il suo inglese è quindi perfetto, non mi dispiace pagare per il taxi, ancora non ho capito bene quanto, perché mi sento almeno un po’ più a casa, e posso parlare con qualcuno che capisce quello che dico. Ha studiato da interior designer, qui fa il tassista a 800$ al mese. Dice che spende tutto quello che guadagna, vive con i suoi, e la sua depressione lo porta a compensare con oggetti costosi.
Non è felice, il lavoro che fa gli va bene solo perché dice che lo fa onestamente, il prezzo che fa la compagnia è lo stesso per turisti e non. Non gli piace prendersi gioco delle persone. Non gli credo, ma voglio moltissimo. Tornare in Canada sarebbe bellissimo, ma dovrebbe mettere da parte 25,000$.
Il Libano è invivibile, perché la corruzione è dilagante. Chi può guadagna sulla sofferenza delle persone, per questo non risolvono la crisi dei rifiuti, in realtà, non conviene a nessuno. Anzi, meglio mantenerla viva più che mai, così nessuno può accorgersi di cosa succede davvero in Parlamento.
Nulla che mi stupisca, in Italia non fanno forse la stessa cosa praticamente di continuo?
L’unica differenza è che qui a guadagnarci in un certo senso sono i partiti, certo, ma quindi anche gli esponenti delle confessioni religiose, sostenute dagli Stati esteri più influenti, quelli che la politica libanese la fanno veramente. Non il PD o il Movimento 5 stelle. E i siriani, di loro anche meglio non parlarne.
“Sono più di un milione e mezzo, fanno lavori che noi Libanesi non faremmo, o comunque li fanno a meno, e abbassano il prezzo dei salari”. Ancora una volta, mi sento in Italia. La sola differenza è che questa sarà solo una delle molte altre cose che i Libanesi mi diranno dei Siriani.
TAPPA 3 – BATROUN
La prima cosa che noto del posto, è che qui l’estate ci si diverte. O meglio, i libanesi d’estate vengono qui a divertirsi. “Here’s there’s lots of nightlife” mi spiega John.
Ci sono moltissimi locali, cocktail bar, discoteche, ma soprattutto i cosiddetti beach resorts, quelli che per noi sono stabilimenti balneari, ma che qui sono molto più chic. Qui il mare infatti è pulitissimo, trasparente. Ma a parte le considerazioni sulla “moderna” Batroun, questa è una delle città più antiche al mondo, fenicia, come Byblos.

Lo testimoniano le mura costruite per impedire alle onde di infrangersi sulla città nel 1300 AD. Vengo lasciata alla chiesa di santo Stefano, e vago nella parte storica per raggiungere proprio vicino le mura fenicie davanti alla Chiesa della Nostra signora del Mare. Ma quello che più mi colpisce son le piccole vie, i fiori, i mattoni bianchi, le testimonianze di un tempo che non c’è più e di una povertà che non è estrema, ma anzi con calma si riprende da se stessa. E mi colpiscono le persone, che come sempre non parlano inglese, ma sentono l’esigenza di comunicare con me. Mentre sono seduta su una scogliera a respirare il mare, un anziano si avvicina e mi parla.
“la alearabia!”
Cioè molto semplicemente: “No Arabo”

Ma non lo scoraggia, come non scoraggia molte altre persone che mi chiedono cose, salvo poi scusarsi, o anziani che mi parlano. Non sono turbata, ma di certo è strano. L’unica persona che capisce il mio inglese gestuale per fortuna, è l’unica che conta: l’uomo del chiosco della limonata, che dice John, a Batroun è particolarmente buona, e con questi 33 gradi, sembra l’unico modo per darmi sollievo dal caldo.