Ci sono albe che entusiasmano molto di più di quella di Dana. Ci sono riserve altrettanto belle, e scarpinate faticose uguali. Le pareti rocciose intorno a noi sono quasi rosse e l’insenatura che percorriamo è lunghissima. Poi però ci sono incontri che fa piacere pensare casuali e che valgono tutta la discesa, la fatica e il sudore. Un punto scelto a caso, “arriviamo fino a lì”, e sembrava ci stesse aspettando. Un giovane pastore, dall’età indefinita tra i quindici e i trent’anni, con cinque capre e un mulo. Fa il fuoco e prepara il tè per noi, dolcissimo, come lo bevono in Giordania. È maleducazione rifiutare. Non parla inglese, ma non è stupito della nostra presenza. La riserva è diventata meta turistica degli amanti del trekking, ma noi non incontriamo nessuno. Ci sono diversi sentieri. Dalle tre ore di cammino fino alle otto, si può fare bird-watching e percorrere vecchi sentieri che portano tra rovine bizantine e antiche tribù beduine. Noi abbiamo giusto intravisto delle impronte di animali selvatici, ma la fauna nella riserva è ricchissima. Ci sono volpi, iene, sciacalli, tassi, lupi, gatti selvatici, linci e stambecchi. Ma questo non rende pericolosa la percorrenza.Salita, sudore, pranzo, saluti e si parte verso Petra.
Arrivare a Petra nel pomeriggio è un buon modo per non incontrare le orde di turisti e soprattutto per godersi il sito con la luce migliore. Le rocce colpite dal sole al tramonto acquistano profondità tingendosi di un rosso intenso. Ci sono i tedeschi, preparatissimi. Ci sono gli italiani, che neanche sanno chi ha costruito Petra. Non gli interessa, semplicemente. Ci sono gli asiatici che passano e fotografano e dimenticano. Percorri un lungo sentiero scavato tra due enormi canyon e all’improvviso ritrovi davanti ai tuoi occhi un sogno di pietra. Tutti i palazzi (che poi sarebbero tombe, ma nel nostro immaginario si avvicinano più a chiese o templi) sono scavati nelle altissime pareti rocciose. Qui fino a poche decine di anni fa ci abitavano i beduini. Credevano che queste meraviglie nascondessero il tesoro dei Nabatei, il popolo che trecento anni prima di Cristo la costruì, come simbolo della propria ricchezza e del proprio potere. Il nome è la traduzione greca di Sela, che vuol dire, appunto, pietra. Per gli arabi invece si chiama Wadi Musa, valle di Mosé, per la presenza della roccia presso la quale, secondo la Bibbia, il profeta fece scaturire dell’acqua toccandola con un bastone.
Numeri 20: 10-12: Mosè e Aronne convocarono la comunità davanti alla roccia e Mosè disse loro: «Ascoltate, o ribelli: vi faremo noi forse uscire acqua da questa roccia?». Mosè alzò la mano, percosse la roccia con il bastone due volte e ne uscì acqua in abbondanza; ne bevvero la comunità e tutto il bestiame.
Ma il Signore disse a Mosè e ad Aronne: «Poiché non avete avuto fiducia in me per dar gloria al mio santo nome agli occhi degli Israeliti, voi non introdurrete questa comunità nel paese che io le dò»
Ancora oggi non si conosce il luogo da cui giunsero i Nabatei, popolazione di origine nomade che decise di stanziarsi a Petra per la sua posizione strategica. Da qui infatti passavano le rotte carovaniere per il Mar Rosso e per le Indie oltre che quelle che collegavano l’Egitto alla Persia. L’ascesa di questo popolo proseguì incontrastata fino all’arrivo dei Romani, nel I secolo d.C.Petra fu riscoperta dall’Occidente all’inizio del XIX secolo. Foad c’è stato almeno cinquecento volte. Forse un po’ si vede. Oggi pomeriggio sono stata arrabbiata con lui per questo. Stasera, mentre parlava guardandoci negli occhi uno per uno, ho capito che c’è talmente tanto dentro e dietro un solo uomo che le singole azioni come questa non possono contare. Sicuramente ha avuto molte opportunità nella vita, ha studiato, ha visto il mondo, comunque ora si trova lontano dalla sua famiglia a guidare per il paese tre ragazzi. A volte gli sarà andata peggio, ma sicuramente anche meglio. È stato sindaco del suo paese, lavora in varie città del Medio Oriente come architetto. Non credo ci rivedremo mai, ma ugualmente quando consiglieremo la Giordania come meta a qualcuno faremo il suo nome. È comprensibile. È giusto. Stasera ci siamo dilungati molto sull’Islam e sul Corano. Gli piace parlare della sua religione, che è strettamente connessa con la vita. L’Islam entra nel quotidiano. Il Corano è una guida per il cittadino e per l’uomo prima che per il credente. I suoi cinque pilastri sono: la testimonianza di fede, le preghiere rituali, l’elemosina canonica, il digiuno durante il mese di Ramadan e il pellegrinaggio a La Mecca almeno una volta nella vita.Non ci sono dogmi. Ci sono esempi. Se si contraddice nella sua stesura è solo perché avanza insieme a te. Deve adattarsi alla mentalità preesistente prima di inserirsi completamente. Perciò passa da ‘non pregare se sei ubriaco’ a ‘non bere proprio’. Se il grande è male, allora lo è anche il piccolo. È vietato uccidere qualsiasi anima, compresa la propria. Non è contemplabile la strage. Ti insegna anche che non è bello andare in visita a un malato in ospedale e restare tanto tempo, e fino a quante volte è giusto bussare alla porta di una persona. Tre volte. O in casa non c’è nessuno, o non vuole aprirti la sua porta. Perché continuare a bussare? Quello che mi stupisce è che una persona colta e intelligente come lui non metta assolutamente in dubbio la religione. Poi mi rispondo da sola. La fede è insita nell’uomo. Noi ci ritroviamo a contrastarla inevitabilmente per quello che in occidente rappresenta, perché invece di migliorare e di migliorarci ci ha sempre reso persone peggiori. Il materialismo nasce come contrasto quando la fede ha volutamente abbandonato il suo obiettivo.
C’è una favola sufi che racconta più o meno così: un signore aveva uno schiavo, una perla di schiavo nero che nulla sembrava stancare. Era un servo di Dio. Il mondo? Se ne lavava le mani. Di giorno lavorava e dalla sera all’alba pregava. Il suo padrone gli disse un mattino: “brav’uomo, il tuo ardore mi piace, mi commuove, mi turba l’anima. Svegliami la prossima notte, mi piacerebbe pregare con te”. “Padrone, ribattè lo schiavo, la donna colta nel suo letto dai dolori del parto non ha bisogno di essere svegliata. Basta la chiamata del suo ventre. Se tu sentissi il dolce male che fa l’amore dell’Onnipotente, non potresti calmarlo. Giorno e notte il tuo occhio sarebbe vivace. Se qualcuno deve scuoterti per condurti alla preghiera, tanto vale che un altro preghi per te. Chi non prova questo doloroso slancio verso Dio non ricerca la verità. Al cuore divorato da tale desiderio, che importano l’inferno o il paradiso!