“Il colore è un mezzo di esercitare sull’anima un’influenza diretta. Il colore è un tasto, l’occhio il martelletto che lo colpisce, l’anima lo strumento dalle mille corde”
Vasilij Kandinskij
La natura l’ha creato. L’uomo se ne è innamorato. E come tutti gli amanti è stato manipolato, osannato e bistrattato. Qualcuno lo vuole chiaro, qualcun altro scuro. C’è chi l’ha sintetizzato, chi l’ha enfatizzato e chi invece ha deciso di abbandonarlo. Ma che cos’è il colore?
Gli antichi gli hanno dato un nome per identificarlo con un potenziale, una funzionalità. I greci l’hanno associato ai quattro elementi della natura: fuoco, acqua, aria e terra. In India è strettamente legato al concetto di energia e tutt’oggi si pensa che influenzi l’equilibrio dei chakra.
Immaginate sullo sfondo nero un grande triangolo trafitto da un raggio di luce che, attraversando il prisma, si scompone nei colori dell’arcobaleno. Avete immaginato bene: il disegno è del grafico inglese Storm Thorgerson, ideatore della copertina dell’album “The Dark Side of The Moon” dei Pink Floyd. Peccato che l’idea sia di Isaac Newton.
Lo scienziato inglese, studiando la dispersione ottica della scomposizione di un raggio di luce che attraversa un prisma di vetro, fu il primo a dimostrare che la luce bianca è composta dalla somma di tutti i colori.
Oggi sappiamo che l’occhio umano ha tre tipi di cellule – i coni – sensibili alla lunghezza d’onda della luce che arriva. La loro capacità di risposta è centrata a tre diverse lunghezze d’onda: il blu, il verde e il rosso. I colori primari.
Quindi il colore altro non è che una radiazione elettromagnetica, avente una lunghezza d’onda all’interno della quale si trova il cosiddetto “spettro del visibile” ossia tutte le radiazioni percepite dall’occhio umano.
Questo vuol dire che vediamo tutti gli stessi colori?
Il primo a protestare contro la teoria newtoniana fu Goethe che nel suo saggio “Della teoria dei colori” affermò che il colore non può essere un fenomeno prettamente fisico ma al contrario qualcosa di vivo, di umano, legato alla sensibilità dell’osservatore. Non possono quindi essere spiegati con una teoria solo meccanicistica ma devono trovare spiegazione anche nella poetica, nell’estetica, nella psicologia, nella filosofia e nel simbolismo. La teoria goethiana, per quanto fosse errata nel campo della fisica, rappresenta un tentativo di spiegare il “colorato” mondo che ci circonda e che l’uomo percepisce con i sensi. Goethe non vuole studiare né la luce né l’occhio; che l’uomo percepisca i colori attraverso gli occhi è senza ombra di dubbio. Ma questi possiedono, esplicano e manifestano anche altre funzioni che non sono connesse soltanto all’ambito prettamente visivo e sensoriale, ma possono svolgere anche un ruolo “morale”, sensibile ed estetico. Le percezioni cromatiche avvengono quindi non solo all’interno dell’occhio, ma anche a livello mentale, immaginativo. Il linguaggio del colore si configura così come un linguaggio simbolico particolare, fatto di suggestioni che non provengono dalla sola osservazione razionale. In epoca più recente, grazie allo studio di due biologi cileni, si è arrivati alla conclusione che chi percepisce il colore è colui che lo sta creando. Addizionando la luce di Red, Green e Blu si formano tutti gli altri colori. Ma esiste un numero infinito di combinazioni di diverse lunghezze d’onda che dall’oggetto arrivano all’occhio e che messe insieme possono dare la stessa sensazione ad esempio di “giallo”. Quindi il colore altro non è che la sensazione che noi abbiamo di quella qualità visiva delle cose.
Noi non vediamo i colori ma viviamo il nostro spazio cromatico. E questo significa che siamo noi a creare il colore, siamo noi a creare il mondo di cui facciamo esperienza.
Good trip.
Valentina Diaconale