Il festival di fotografia nel cuore della Val di Chiana aretina quest’anno per la prima volta da ampio spazio ad una sezione dedicata a sperimentazioni video e linguaggi transmediali
Cortona ci accoglie come media partner con la sua 8a edizione, offrendoci un programma artistico, che come ogni anno, pone i riflettori su fotografi internazionali e per la prima volta anche su videomaker, i quali hanno lasciato il segno, impegnandosi a raccontare sfaccettature esistenziali, sociali e politiche, attraverso tecniche audaci e rappresentazioni originali.
Una rassegna dedicata alle donne fotografe, testimonial coraggiose e artiste visionarie, narratrici di mondi interiori, manifestazioni antropologiche e culturali, oggetto di denuncia sociale e fenomenologica rappresentati con scatti discreti, ma carichi di pathos. Foto copertina della rassegna di questa edizione è uno scatto della foto reporter belga Sanne De Wilde, uno studio cromatico sulla visione soggettiva di chi soffre di una rara patologia genetica: l’acromatismo. Un’isola, quella di Pingelap, negli Stati federali della Micronesia, in cui tutti gli abitanti sono affetti da questo deficit e sono circondati da un panorama estremamente policromatico. De Wilde revisiona con una prospettiva personale l’interpretazione acromatica dei soggetti con uno spettro di colori surreali e convenzionali.
Ma la vera novità di quest’anno è stata la sezione dedicata all’audiovisivo. Palazzo Venuti ospita 6 cortometraggi sperimentali e installazioni transmediali legati a progetti di sensibilizzazione e denuncia, confezionati con un taglio vorace, nudo e veritiero. Immagini e video che spezzano l’ordine cronologico del reportage tradizionale, esplorando il concetto di “alterità” e “marginalità”. I progetti selezionati da Liza Faktor and Amber Terranova di Screen e presentati nella prima edizione di Arena – Video and Beyond a Cortona On The Move – hanno visto la partecipazione di artisti quali Erika Larsen, David Maurice Smith, Sheng-Wen Lo, Andrea Ellen Reed, Zackary Canepari e Laurence Cornet, Benjamin Petit e Gaia Squarci con un progetto collettivo.

Il piccolo palazzo seicentesco che ospita la sezione “Arena” sottopone lo spettatore a diverse esperienze di osservazione. Erika Larsen ci attira con “Nature: Healing: Human”, un work-in-progress sul mondo della natura e il ruolo che essa gioca nei processi di guarigione. Il canadese Maurice Smith si concentra su uno studio legato agli aspetti della vita degli Attawapiskat, comunità aborigena dell’Ontario, con un progetto chiamato “People of the Parting Rocks” denunciando il più alto tasso di suicidio al mondo che vive questa popolazione, contaminata da un sincretismo deleterio tra modernità e il forte legame con le tradizioni.

Discriminazione e testimonianza sociale sono i topic anche per “Unsighted”, cortometraggio sperimentale nato come risposta ai conflitti razziali di Baltimora, in Maryland e Ferguson, nello stato del Missouri, nei quali morirono due uomini neri disarmati. Una fusione audio-video di testimonianze, dichiarazioni di opinionisti e militanti per i diritti civili, per raccontare come la radicata cultura della supremazia bianca sia stata interiorizzata da quella afroamericana.

Anche “Flint is a place”, il progetto di Canepari, co-diretto da Jessica Dimmock e Drea Cooper è dedicato alla comunità afroamericana, questa volta appartenente ad una delle città più pericolose e povere di tutti gli Stati Uniti, Flint in Michigan, attraverso un percorso intimo e soggettivo, utilizzando diversi linguaggi visivi.

L’installazione Avontuur dei tre documentaristi Di Laurence Cornet, Benjamin Petit e Gaia Squarci, premia una presenza italiana che insieme agli altri membri del team ci regala un documentario di viaggio sull’impegnativa impresa di una goletta degli anni ‘20, la Avontuur, ultima tra i pochi bastimenti mercantili rimasti a vela, che naviga su itinerari trans- oceanici tra Europa, Nord America e Caraibi. I pannelli ci segnalano una reportistica legata all’inquinamento marittimo del traffico merci: “15 delle più grandi navi da carico per container rilasciano un quantitativo di ossido di zolfo pari a 1 miliardo e 200 milioni di automobili che circolano in tutto il mondo”. Brividi e commozione nel vedere un’impresa così impegnativa a sostegno di una sostenibilità ambientale necessaria.

Ultima, ma solo lungo il nostro percorso, l’installazione immersiva della fotografa e informatica Sheng-Wen Lo: “The March of the Great White Bear”. Questa volta non ci soffermiamo più di tanto sulla forma, il contenuto ci crea sgomento. L’opera raffigura alcuni orsi polari in cattività, distribuiti in 17 strutture di tutto il mondo. Quello che per noi appare un loop visuale è la rappresentazione visiva di “comportamenti stereotipati” definiti così in etologia come una ripetizione infinita di una sequenza fissa di movimenti. Un disagio psicologico disarmante, una riflessione su come la contenzione a lungo termine porti alla ricerca di punti di riferimento necessari, un quadro disarmonico tra la bellezza di queste creature selvatiche e l’orrore della detenzione e lo sfruttamento degli animali in cattività.
Palazzi storici, strade e fortezze di Cortona ospiterà 24 mostre fotografiche e 6 installazioni video fino al 30 settembre. La rassegna, prodotta dall’associazione Onthemove e con la direzione artistica di Arianna Rinaldo, oltre ad essere diventata un punto di riferimento per la fotografia internazionale e l’arte contemporanea in generale, ha permesso la riqualifica di alcuni edifici storici dismessi del piccolo borgo etrusco, trasformandoli in incantevoli spazi espositivi.
di Samyra Musleh
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