di Emanuele Kraushaar
foto a cura di Veronica Gabbuti
NASA/courtesy of nasaimages.org.
Franco
Ci sono cose che non è facile dire in pubblico. Comunque ho preso coraggio e ho tirato fuori la storia dell’astronave.
“Sì insomma era triangolare, si è fermata sulla mia testa e poi è volata verso l’alto scomparendo nello spazio”.
Io stesso non avrei creduto ad una delle mie parole, se le avesse dette un altro.
Ma quella notte a fare il bagno dalle parti del castello c’eravamo io e Matilde. Solo che dato che lei non voleva far sapere di aver passato la notte con me, ecco che sono l’unico testimone.
Al bar sembrano ancora più disattenti che dai carabinieri. Ho raccontato la mia storia, perché sentivo di doverlo fare e poi ho aperto “La Gazzetta dello Sport”. Ma senza leggerla: era come se aspettassi la reazione di qualcuno.
Il problema è che al bar a nessuno importava niente di queste cose. E poi forse di storie come la mia se ne sono sentite così tante che ormai sono sputtanate. O magari la gente ci crede pure, ma in fondo di questi tempi anche un’astronave aliena non cambierebbe la vita a nessuno.
“E che ci facevi a Santa Severa da solo?” mi ha chiesto mio cugino, sorridendomi.
Mi si è avvicinato con un tono confidenziale.
“Senti, a me dell’astronave triangolare non me ne frega molto, ma mi piacerebbe sapere chi ti sei fatto questa volta…”.
Pochi sanno infastidirmi come mio cugino. Non ha ancora quattordici anni, ma sembra voler bruciare le tappe. Fuma, forse si droga, è già stato bocciato due volte e si impiccia sempre delle cose degli altri.
E meno male che sono riuscito a farlo stare zitto, senza fare il nome di Matilde. Proprio il giorno seguente infatti ho saputo che era sparita di casa. I genitori erano disperati e dopo un paio di giorni la notizia è finita sui giornali e in televisione.
A quel punto ho deciso di non parlare più a nessuno della storia dell’astronave. Ogni tanto qualche bambino ancora mi chiede, ma io faccio finta di niente.
Solo che è quasi una settimana che non riesco a chiudere occhio. Penso continuamente a Matilde e da ieri ho incominciato a credere che la sua sparizione abbia a che fare con la storia dell’astronave.
Matilde
Ieri notte, o forse qualche settimana fa o magari domani o proprio adesso, vado al mare con Franco. C’è un buio di pece intorno ad ogni cosa.
“Facciamo il bagno” dice Franco.
Così mi spoglio ed incomincio a correre verso il mare.
Mi butto in acqua, mentre lui fa capriole sulla sabbia.
In quel momento vedo una luce fortissima che mi avvolge completamente.
Franco lo perdo di vista e dopo un po’, quando è tornato tutto nero, esco dall’acqua.
Non c’è più, rimangono solo le sue impronte.
Corro verso la strada e faccio l’autostop.
Il tipo che si ferma ha una brutta faccia, così al primo bar gli chiedo di farmi scendere.
Telefono a mio padre, che è venuto a prendermi dopo una mezzora. Ho ancora i capelli bagnati e mio padre dice: “Con chi eri?”.
Voglio dire Franco, ma quando penso alla parola Franco non mi viene in mente niente.
Quella stessa notte faccio un sogno che sembra vero. E in questo sogno – che sembra vero come vera è la realtà o anche di più – io sono un’astronave che cavalca veloce lo spazio e addosso mi vengono luci di tutti i colori, anche colori che non esistono, ma che da quel momento per me esistono eccome.
In questo universo, in cui sono come un lampo, ci sono statue enormi che solo a distanza sembrano meteoriti o altri piccoli pianeti, ma che invece si rivelano come statue o meglio grosse teste, che poi sono le teste di quello che io pensavo… Ecco, questo non mi va di dirlo, anche perché tutto quello che è venuto fuori da questo sogno è quello che comunque ho scritto la mattina seguente:
ho corso fino in fondo
lo spazio profondo
e ho camminato come su una polvere
spaziale per arrivare fino da te
ma tu non c’eri
c’era solo il ricordo
che è una statua immobile
al centro dell’universo
Franco.
La prima parte è pubblicata in Tic, Atì Editore 2005