di Angelo Calvisi
foto di Elena Perlino | elenaperlino.com
Oggi, su Google, ho cercato due parole: Genova e contraddizioni. Sono usciti circa 459 mila risultati. Pochi, in fondo, almeno se paragonati alle milionate di analoghe digitazioni riferite a Milano e Roma. Pochi soprattutto se consideriamo che Genova, in realtà, è proprio la capitale delle contraddizioni. Provate, per esempio, ad andare in via Garibaldi. Via Garibaldi è la cinquecentesca Strada Nuova, una strada di rappresentanza (palazzo Tursi, sede del municipio di Genova, si trova qui), il modello di identità sociale ed economica che ha inaugurato l’architettura di età moderna in Europa. In via Garibaldi potete visitare i palazzi progettati da Gian Galeazzo Alessi e i musei di Palazzo Bianco e Palazzo Rosso, che nel loro piccolo ti danno la possibilità di ammirare Van Dyck, Strozzi, Durer, Veronese, e ancora Caravaggio, Rubens, Magnasco… Eppure, se dopo la visita ai musei di Strada Nuova avrete voglia di farvi una passeggiata, vi farete un’idea più precisa di ciò di cui parliamo quando parliamo delle contraddizioni di Genova. Dal portale di Palazzo Rosso scegliete uno qualunque dei vicoli perpendicolari a via Garibaldi che si inoltrano giù, verso le viscere del centro storico. Vico Angeli può andare? Oppure vico del Duca? Il risultato è sempre lo stesso, dopo settanta passi (vi prego di contarli) sarete in via della Maddalena, settanta passi appena separano la via più bella di Genova (Pietro Paolo Rubens, addirittura, definì Strada Nuova come la via più bella d’Europa) dalla strada delle mignotte, dello spaccio, delle bottigliate notturne. Secondo voi io dove abito? Risposta esatta, io abito qui, in via della Maddalena, la via delle mignotte, dello spaccio, delle bottigliate notturne, e quando mi hanno telefonato e mi hanno chiesto di fare un reportage su questa parte della città non ho dovuto fare altro che togliermi le pantofole e scendere giù.
Via della Maddalena è un posto strano, tutto il centro storico di Genova è un posto strano. La prima cosa che si nota è l’esplosione di colori dei panni stesi alle finestre dei palazzi, lenzuola magliette camicie che ormai fanno parte dell’arredo urbano. Sembra un paradosso, l’ennesima contraddizione, ma nel capoluogo della regione più anziana e cementificata d’Italia, in una città dove non c’è lavoro e da cui i giovani scappano, quella dei panni stesi è una emergenza che, periodicamente, torna a turbare i sonni degli amministratori genovesi. Nel febbraio del 2011, in nome del decoro, il regolamento di polizia urbana li aveva vietati, e poco conta se, un pugno di giorni dopo, il sindaco di allora, Marta Vincenzi (area PD, coinvolta e travolta dall’inchiesta che ha fatto seguito alla tragica alluvione del 4 novembre di due anni fa, dove persero la vita sei persone, uccise dall’esondazione del Rio Ferreggiano: a proposito dei disastri provocati dalla appena menzionata cementificazione selvaggia), ha ritratto il provvedimento. Che poi, il decoro. Mica vero. «Non vogliono che si veda che le lenzuola diventano grigie perché l’aria è irrespirabile», dice con pragmatismo tipicamente zeneize la signora Marcella, la mia vicina di casa che incrocio sul portone. E d’altra parte la questione era salita alla ribalta della cronaca anche nell’estate del 2001, ai tempi del nefasto G8 genovese, quando il premier di allora, Silvio Berlusconi, aveva ordinato che i panni stesi sparissero dalla salita Pollaiuoli e dalle altre zone che si affacciano sul palazzo Ducale, perché ragazzi parliamoci chiaro, Tony Blair mica poteva uscire e trovarsi di fronte le mutande del signor Pino, perbacco (e comunque, anche in quella occasione, l’arazzo sopraelevato e multicolore restò dov’era: questi riottosi genovesi).
Ad ogni modo, i panni stesi sono la prima cosa che si vede camminando col naso all’insù, se come un’anima candida cerchi il cielo. Se invece restate quaggiù, tra i comuni mortali, ciò che salta agli occhi è lo straordinario affollamento di prostitute che rende unica via della Maddalena. Ci sono ragazze di ogni età, di ogni etnia, di ogni nazionalità, ma attenzione, le potete trovare soltanto in orario d’ufficio, dalle 9 alle 19, pausa pranzo compresa, anzi specialmente in pausa pranzo, perché anche a Genova, come in altre grandi città della penisola, la consuetudine del sesso mercenario all’ora di pranzo ha sostituito la scappata in palestra e il lunch vegetariano. «Ci sono dei clienti che pagano con i buoni pasto», mi dice sorridendo Morena, splendida ecuadoriana ventiduenne, e qualcuno obietterà che è storia vecchia, e tuttavia a Genova la consuetudine si è consolidata negli anni, e in tempi di crisi come questi… «Il problema è che alcune aziende distribuiscono i ticket con il nome del dipendente stampato», dice ancora Morena, che quando va a fare la spesa al supermarket di zona si trova suo malgrado a sputtanare in maniera indelebile il malcapitato cliente. Squilla il cellulare della ragazza, da qualche finestra, da qualche angolo della via, qualcuno si è accorto che sta parlando un po’ troppo con il sottoscritto, e allora dobbiamo salutarci. Perché Morena, bella e giovane, ha il protettore. Tutte le ragazze più giovani ce l’hanno, e lo puoi capire anche senza chiederlo, perché di solito le più carine non si fermano nello stesso cantone per più di un mese, ma circolano nelle diverse zone della città. «In questo modo si evita che le ragazze si affezionino ai clienti e il pappone mantiene alto l’interesse per la mercanzia», mi spiega la signora Luciana, la decana delle mercenarie della Maddalena, che esercita in un basso a dieci metri dal mio palazzo. Ha l’età di una mia zia, sessantaquattro anni, è una donnina minuta e gentile, non priva di una certa eleganza, e deve averne viste di cotte e di crude. «Una volta – racconta – un ragazzo si è presentato con il padre. Con il padre, capisce? Mi ha detto che il signore aveva delle esigenze particolari, voleva farmi la pipì addosso. Gli ho risposto di andare a farsi curare da uno bravo». La signora Luciana è la prima ad arrivare e l’ultima ad andare via. Non ha figli (ma anche se li avesse dubito che lo direbbe a me), ma mi parla di un nipote grande che studia al Politecnico di Torino, e mi fa anche tenerezza il suo orgoglio nel decantare i risultati del suo giovanotto, come lo chiama lei. Mi scusi l’impertinenza, ma alla sua età, non potrebbe ritirarsi dalla scena? «Cosa vuole – risponde la signora Luciana – con alcuni clienti si è proprio creato un legame d’amicizia, certe volte vengono e non facciamo niente, chiacchieriamo e basta». Ci salutiamo, ci vediamo domani, le dico, che ora si è fatta? Sono le sette e mezza. Più avanti nella via una coppia giovane, Pietro e Zea, ventisei anni lui ventinove lei, pochi mesi fa ha aperto un locale che si chiama con il nome di una varietà di peperoncino e l’ha aperto in controtendenza rispetto a una realtà che, invece, dice che i negozi della zona stanno in larga misura abbassando le serrande.
Vado a trovarli, c’è molta gente, molte birre, molto cibo. «Le cose funzionano – mi racconta Pietro – forse stiamo beneficiando dell’effetto novità, però non ci possiamo lamentare». Lui e la sua compagna stanno cercando di creare una piccola rete di accoglienza del pubblico con gli esercenti della zona, soprattutto con l’ostello che è stato da poco inaugurato nelle adiacenze della chiesa della Maddalena, l’area meno degradata. «Al di là di una maggiore presenza delle forze dell’ordine, che di certo non guasterebbe, il rilancio di via della Maddalena parte da noi, dalla nostra capacità di attirare gente e movida, soltanto così possiamo sperare di restituire almeno in parte via della Maddalena alla città». Pietro mi versa un boccale di birra spagnola, mi fa assaggiare il suo polpo in guazzetto, è tutto molto buono, e stasera via della Maddalena, e tutta Genova, mi sembrano più belle del solito.
Angelo Calvisi è nato nel 1967 a Genova, dove lavora per una cooperativa di servizi sociali. Per la Round Robin, oltre a Maledizione del Sommo Poeta, ha pubblicato Il Geometra Sbagliato (2007) e Il Principe di Persia (2009)
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