testo e foto di Ottavia Massimo
Dialoghi tra incompresi e dimensioni non comprensibili
“Chi sei? Tu non sei una giornalista”. Tu invece si? Sadiqi bussò alla mia porta una notte di due mesi fa. Ero appena uscita dalla Syria ed era venuto a prendermi alla frontiera con un amico comune. Disse di essere freelance. Era molto silenzioso. Sorridente. Lo sguardo vispo. Un guizzo di intelligenza perversa negli occhi che quando si fermano ti entrano nell’anima per capire. E trasmettere un dolore misterioso. Sadiqi è un mercenario. Pagato da uno stato del Medio Oriente. Ha ammazzato settecentottantadue persone. È un cecchino, un esecutore. Non spara a casaccio, non spreca munizioni, non ammazza per paura di essere ammazzato. Di origini africane, appartiene alla famiglia più importante di una tribù dell’Africa centrale. Cresce in Francia. A sedici anni entra nella Legione Straniera. Ne esce dopo quattro anni invece di cinque, dopo aver ucciso un superiore per questioni d’onore. Si arruola nell’esercito algerino. Sposa una ragazza con cui fa un figlio. Lei e parte della famiglia vivono in una città del sud della Francia. Sadiqi, perché hai scelto di fare questo mestiere? “Per l’adrenalina. Nulla come un fronte di guerra aziona il meccanismo per cui l’eccitazione cancella ricordi e passato”. Quanto è importante eticamente il fronte cui decidi di appartenere? “Qualche mese fa ho ricevuto una proposta dal regime siriano in carica. Ho rifiutato”. Perché? Non pagavano abbastanza? Ride. “Mi prendi in giro? Parliamo di decine di migliaia di dollari al mese. Ho rifiutato perché Bashar Al Assad sta ammazzando la sua popolazione senza logica né discriminazioni”. Sadiqi, perché hai scelto questo lavoro, cos’è successo, che ti hanno fatto.. Non risponde. Lo sguardo a terra, le mani chiuse a pugno. Insisto. “Lo sai perché mi faccio chiamare così? Sadiqi era il nome di mio figlio. Aveva sei anni. Sparì improvvisamente. Ricevetti una telefonata in cui mi dissero che per riavere il bambino avrei dovuto pagare un milione di euro. Rifiutai. Sapevo che se avessi accettato avrebbero continuato a perseguitarmi. La mia famiglia è una delle più ricche della città. So come funzionano queste cose. Sadiqi fu trovato morto una settimana dopo, a pochi chilometri dal centro”. E poi cosa è successo? “Ho ucciso l’intera famiglia del responsabile del rapimento. Tranne un neonato”. Quanti erano? “Tre. Lui, la moglie e il figlio”. Perché non solo lui? Perchè non il neonato? “Il figlio, perché il padre aveva ammazzato mio figlio e perché si sarebbe in futuro vendicato. La madre, perché non andasse in giro a raccontare. Lui per ovvi motivi. Al neonato ho trovato una famiglia di adozione”. Come fai a sapere quanta gente hai ammazzato? “Non sparo a caso. Neanche sui fronti. Un caricatore contiene 30 proiettili. Ne uso in media due per persona”. Cosa si prova a uccidere un bambino? “Lo faccio solo per questioni di onore e rivendicazione verso chi ha fatto lo stesso”. Sadiqi. Guardami. Cosa si prova ad ammazzare un bambino.. Come lo fai, gli spari? “No. E’ un lavoro veloce. Pulito, senza sangue. Gli rompo il collo girandogli la testa”. Quanta gente sa veramente chi sei? “Poca. Qui solo te. E non credo tu voglia morire per così poco”.
Notte. Piove. Siamo a una ventina di chilometri da Aleppo, Syria. Preparando una missione che prevede l’attacco alla base di Al Mushad, sotto il controllo del regime di Bashar Al Assad. Freddo sopportabile. Correre nel fango non è piacevole ma con le nuvole gli aerei non volano ed è il momento migliore per circondare gli obiettivi. La casa che occupiamo è di una famiglia evacuata qualche ora fa. Siamo dodici. Mi mettono in mano un kalashnikov. Lo restituisco indicando la macchina fotografica e il cielo, dicendo Allah u bess, Allah e basta. Usciamo nel cortile per fumare. Ogni tanto si sentono i fischi delle pallottole dei cecchini tra gli ulivi, a circa cinquecento metri di distanza. La casa è una delle basi e intorno ci sono altri rivoluzionari, cinquanta circa, a proteggere la nostra e altre fattorie occupate. “Oggi è una gran bella giornata”! Perché? “Perché sono ancora vivo. Quando questa guerra sarà finita ci sposeremo”. Rido. Credo nell’amore, non nei contratti. Viva la libertà! “Se non mi sposi ti ammazzo”. Benissimo. Grazie! “Puoi scegliere, vivere o morire. Non è difficile”. Sadiqi, chi è stato il primo? Non mi risponde, come due mesi fa. Abbassa lo sguardo, sorride. “Non dimentichi mai nulla eh”?! Dimmi allora, solo, perché non me lo vuoi dire. “Perché lo vuoi sapere”? Perché quando mi guardi mi arriva un dolore fortissimo, antico. Chi è stato il primo Sadiqi, quanti anni avevi? “Meno di quattordici. Era il fratello di mia madre. L’ho ucciso con le mie mani”. Mentre dormiva? “No. Non ho mai ammazzato nessuno che non mi guardasse negli occhi”. Cos’è il Tempo? “Non morire. La guerra ti insegna ad apprezzare ogni singolo istante in cui ti è concesso di respirare. Perché sei musulmana”? È una lunga storia. “Abbiamo tempo”. Sono un messaggero. Allah mi ha salvata da Marte quando fu disintegrato, sono cresciuta su Sirio, la stella. Mi ha mandata su Terra ventitremila anni fa. Mi sarei anche un po stufata, voglio tornare a casa. “Perché ti ha mandata qui”? Perché il genere umano non si estinguesse. “E come penseresti di salvarlo”? Non sono l’unica hambdullah! Siamo un gruppo di fratelli, di vari pianeti, tutti inviati su Terra per attivare le coscienze. Sorride. Puoi non crederci, è un problema tuo. “E gli altri dove sono”? In giro per il mondo a trasmettere codici. Che io sappia, sono l’unica a coprire le zone di guerra. “Codici”? Si. Ognuno di noi è un canale di trasmissione di percezione con le altre dimensioni. Venne un Essere di Venere, nato in Argentina. Con le sembianze di una donna. Mi trasmise un codice che mi apparve negli occhi attraverso figure geometriche precise. Io le trasmisi il mio. Ci riconoscemmo nell’appartenenza a un’unica missione. Da nove anni gira il mondo attivando esseri più o meno consapevoli. La coscienza si sviluppa attraverso l’immagazzinamento di informazioni che gradualmente si collegano a formare storie non casuali. Provò ad allontanarmi dalle dimensioni di guerra. Le raccontai delle istruzioni che ricevo e finalmente capì che non posso ancora allontanarmi dalle guerre, perché i miei poteri si attivano in tali dimensioni. “Perché proprio l’Islam. Qual è la tua missione”? Pensi che Allah sia contento di tutto questo sangue? Credi che la Jihad sia davvero una guerra santa da combattere con armi e terrore? Credi che i musulmani attuali stiano realmente interpretando il pensiero e il volere di Allah? Buddha, Allah e Cristo. Credo in tutti e tre ma è Allah a darmi istruzioni. Sono uno ma operano in tre a seconda delle epoche e zone del mondo. Ascolta. Ciò che sta accadendo sulla terra non è altro che il riflesso di ciò che l’umanità emana. Attualmente ci sono circa sessanta piccoli e grandi conflitti nel mondo. Le guerre più feroci sono islamiche. L’interpretazione attuale dell’essenza dell’Islam, la Jihad, non è altro che il riflesso delle costrizioni che lo stesso applica alle minoranze. Guarda l’Occidente. Osserva quanti casi di tumore ci sono. Le cellule del cancro si muovono nel corpo divorandone organi e tessuti, fino a esaurimento. Esattamente come in quella parte di mondo, l’umanità costruisce e invade il territorio. Senza pietà né rispetto alcuno per il bioritmo dell’ambiente. Conseguenze: terremoti e malattie. “Qual è la tua missione”? Attivare la coscienza di più esseri possibile. “Perché”? Perché sto cercando di uscire dalla dimensione Terra. “Ma perché proprio le guerre?” Per creare un ponte di coscienza tra bene e male. “Se sei così cosciente del male, perché hai bisogno di viverlo”? Perché la mia anima è ancora polare e non ancora incarnata. L’incarnazione avviene attraverso l’esperienza e l’accettazione delle proprie polarità. Siamo ciò che emaniamo, non la materia di cui ci contorniamo. “Qual è l’obiettivo”? Tornare a vivere nella frequenza vibrazionale 13:20. Riportare le coscienze alla dimensione del Tempo Naturale. “Cioè”? Siamo intrappolati nella dimensione temporale del calendario gregoriano fondato sul ciclo artificiale di dodici lune, il Tempo Meccanico installato su Terra perché le anime perdessero gradualmente il potere di viaggiare tra dimensioni. Trenta giorni un mese, ventotto, trentuno, a volte ventinove. In realtà, i mesi sono tredici e ognuno conta ventotto giorni. Semplice, logico, naturale. Tornare a vivere tredici lune attraverso la percezione significa ricordare per allontanarsi dal concetto di Tempo materiale, causa principale dell’involuzione dell’anima che continuerà a reincarnarsi su questo pianeta. Da studi scientifici risulta che utilizziamo in media il 10% del nostro cervello. Il restante 90% è anestetizzato dalle polarità che rincorrono la materia allontanando l’essenza delle emozioni che percepiamo. L’attuale sistema mondiale è contro l’amore, per quello ci sono così tante guerre.
Al contrario di ciò che si dice, il tempo non guarisce se non trovi il modo di sfogare la rabbia senza ricorrere alla vendetta. Se ti incastri tra le dinamiche della vendetta, le delusioni e i traumi verranno inconsciamente nutriti dall’illusione di sollievo e appagamento che la stessa finge ogni volta di procurare. Il sentimento di vendetta aziona la produzione di adrenalina. L’adrenalina genera dipendenza. La vendetta è una dimensione in cui la mente incastra i sentimenti in uno spazio definito e regolato da meccanismi rabbiosi. La guerra si muove attraverso dinamiche di dipendenza regolate dalla sensazione di vuoto che la mancanza d’amore genera. Le emozioni che una zona di guerra è in grado di produrre forniscono l’illusione di non avere tempo da dedicare a ricordi dolorosi. Come una droga, la guerra sembra fermare il tempo, per cui nulla ha valore se non l’essenza imposta da una data circostanza. In guerra non c’è tempo per pensare. I giochi della mente non trovano spazio.
“Ottavia, cos’è la guerra”? La guerra è un urlo disperato in cerca di emozioni. Il riflesso della parte di mondo distratta dalle esigenze materiali che il proprio ego si illude di avere. La guerra è contro l’amore come lo è il sistema regolato dalla bramosia di successo e potere.
Morire altro non è che non avere Tempo di percepire.