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“Dobbiamo andare nel Mush Hole, ti accompagno io, dobbiamo documentare per far capire cosa è successo lì, devi fotografare e fare vedere a tutti”, queste le parole che Gary ripeteva continuamente in uno stato misto tra rabbia e agitazione. Gary è un nativo Mohawk, attivista residente a Toronto sopravvissuto alle Residential Schools, scuole residenziali sorte dal 1876 in tutto il Canada e che, indubbiamente, rappresentano uno dei peggiori esempi di come il colonialismo abbia dilaniato la storia di un popolo, quello dei nativi, in nome di un’ omologazione culturale ritenuta fondamentale per il progresso di una nazione.

Le scuole residenziali, finanziate generalmente dal governo federale canadese, ma amministrate dalla Chiesa Cattolica, sono sorte per risolvere alla base la delicata e politicamente pericolosa questione dei nativi: popoli etichettati come troppo distanti culturalmente dal popolo canadese, considerati selvaggi e arretrati, i quali dovevano in qualche modo essere fagocitati completamente dalla cultura coloniale imperante. Nate ufficialmente con il proposito di creare un’ interazione reciprocamente fruttuosa con i popoli autoctoni, focalizzandosi proprio sulle nuove generazioni, le scuole residenziali nascondevano in verità un proposito inquietante: diffondere e imporre la cultura inglese o francese per eliminare completamente qualunque retaggio nativo dagli studenti, che dal quel momento in poi avrebbero dovuto abbandonare le loro tradizioni, costumi e lingua.

Dal 1884 ogni bambino nativo aveva l’obbligo di frequentare le scuole residenziali, solitamente molto lontane dai luoghi di appartenenza, per scoraggiare le visite dei parenti e renderlo così più malleabile e debole psicologicamente, essendo confinato nella scuola per mesi e a volte anni, tra una visita e un’altra. In verità il sistema scolastico canadese per i nativi prevedeva in alternativa la scelta di scuole giornaliere ma, essendo anch’esse molto distanti dai villaggi, non potevano essere materialmente considerate come una scelta fattibile dalla maggior parte delle famiglie.

Le scuole residenziali sono tristemente passate alla storia per le violenze psicologiche, fisiche e sessuali perpetrate ai danni degli studenti, che sin dal primo giorno di permanenza dovevano spogliarsi della loro identità a partire dal taglio obbligatorio dei capelli (la cui conseguente omologazione estetica recideva alla base qualunque riferimento estetico-culturale della comunità di origine), dal cambio del nome sostituito da uno inglese o francese e dal divieto assoluto di manifestare qualunque azione potesse evidenziare la loro cultura; se si pensa che la maggior parte dei bambini non sapeva comunicare se non che con la propria lingua madre, non è difficile immaginare i primi mesi trascorsi all’interno delle strutture come un vero inferno.

Gary, insieme al cugino, è stato uno degli ultimi studenti di una delle più longeve scuole residenziali canadesi, la Mohawk Institute situata in Ontario (nel cuore del territorio nativo delle Six Nations), amministrata dal governo federale e affiliata alla Chiesa Anglicana. La scuola comunemente chiamata “Mush Hole” dagli studenti stessi, perché forzati a mangiare frumento di avena molle (dall’inglese Mushy Oatmeal), è stata aperta il 1885 e chiusa solo nel 1970.

Le parole di Gary sono intrise di rabbia e disprezzo per un’esperienza che lo ha traumatizzato a causa delle continue percosse ricevute nel seminterrato della scuola, “tenevano bloccati me e mio cugino insultandoci e picchiandoci ripetutamente” dice, mimando i gesti dei pugni ricevuti con la stessa foga di un pugile. Gary vuole che le violenze subite vengano riportate per iscritto, ha paura che il tempo possa cancellare dal ricordo collettivo crimini che non devono essere dimenticati. Collaborando con altri nativi, alcuni dei quali ex studenti come lui, cerca pertanto di mantenerne viva la memoria. Il gruppo di attivisti di cui Gary fa parte ha come base operativa un edificio costruito dalla Henco Industries Limited impropriamente in territorio nativo e che sarebbe dovuto servire come struttura pilota per l’edificazione di un quartiere a scopo abitativo.

Gli attivisti lo occuparono, in segno di protesta, nel 2006, facendolo diventare edificio simbolo della difesa delle loro radici e di quel poco che era rimasto della loro terra. In questa casa incontro una donna anch’essa vittima del sistema imposto dalle scuole residenziali, la quale però preferisce non parlare della sua esperienza per il troppo dolore che questo le provocherebbe.

La scuola “Mohawk Institute” esiste ancora, trasformata in un centro culturale nativo chiamato “The Woodland Cultural Centre”,uno dei pochi posti rimasti che possono testimoniare un passato pieno di sofferenza. Gary mi mostra l’edificio visibilmente emozionato, i muri in mattoni della scuola circondata dalla neve ospitano ancora le firme che i tanti studenti intagliavano con le pietre. Sono nomi inglesi, i nomi imposti loro dal personale scolastico, forse gli unici nomi che riuscivano a scrivere essendo la loro cultura esclusivamente orale, così come nei sotterranei della scuola sono tuttora visibili le tubature dell’acqua calda dove, come racconta la dirigente del centro culturale, per punizione gli studenti che avevano trasgredito una qualche regola, venivano appesi e umiliati. Gli studenti erano costretti a patire il dolore causato dal contatto della pelle con il metallo rovente in quanto era credenza comune, tra gli educatori, che la tortura fosse l’unico modo per poter plasmare le loro anime. L’archivio storico della ex scuola riporta le violenze brutali sugli studenti, come le ripetute cinghiate da parte dell’allora preside dell’istituto e di bambini costretti a strofinare il loro viso sugli escrementi umani, come punizione per aver urinato la notte sul proprio letto.

Il cibo scadente e le pessime condizioni igieniche, a causa del sovraffollamento, della carenza di strutture mediche adeguate all’interno della struttura e della scarsa conoscenza sanitaria del personale, facevano sì che tra gli studenti si diffondessero, con facilità disarmante, malattie come tubercolosi e influenza, causa comune di morte.

È agghiacciante inoltre la scoperta di un ciclo di esperimenti che, non solo nella Mohawk Institute, sono stati effettuati da gruppi di ricerca esterni per testare su alcuni bambini, utilizzati come cavie inconsapevoli, la reazione dell’organismo verso cibi manipolati con composti, alcuni dei quali illegali in Canada, così da determinarne il grado di efficienza e tollerabilità.

Secondo una ricerca condotta dalla commissione Truth And Reconciliation, ora National Centre for Truth and Reconciliation, che dal 2009 ha indagato per stabilire quanto avvenuto in quegli anni, nelle scuole residenziali su circa 150.000 bambini ne sono morti circa 6.000, ma la stima è probabilmente più alta considerato che molti studenti sono stati classificati dalle scuole come scomparsi.

Non è quindi da stupirsi che nel maggio 2017, in occasione del G7, il Primo Ministro canadese Justin Tredaue, facendo seguito alle scuse fatte a nome del governo canadese già nel 2008, dall’allora Primo Ministro Stephen Harper, abbia chiesto a Papa Francesco di scusarsi ufficialmente a nome della Chiesa Cattolica per il genocidio perpetrato dalle Scuole Residenziali ai danni dei popoli nativi.

Il governo canadese inoltre, sotto pressione della più grande class action della storia del Paese, la Indian Residential Schools Settlment Agreement, dal 2007 è stato condannato a risarcire circa 2 miliardi di dollari, un fondo dal quale hanno potuto attingere i circa 86.000 ex studenti ancora in vita, secondo percentuali che variano in rapporto al periodo di permanenza nelle scuole e al grado di violenze subite.

Il risarcimento economico è sicuramente un tassello importante nel delicato processo della riconciliazione, ma non potrà mai risolvere definitivamente il danno creato. Chi è tornato a casa dopo anni di permanenza nelle scuole residenziali ha subito sia la perdita del linguaggio, sia della cultura d’origine, elementi cardine per riconoscersi nella comunità di appartenenza. Questi ex bambini, da adulti hanno dovuto ricostruire tassello dopo tassello la loro storia senza un riferimento concreto, sviluppando spesso disturbi da stress post-traumatico, da ansia e depressione, completamente soli ed incapaci di ritrovare la loro vera identità.

Il percorso in quella che fu la scuola Mohawk si snoda tra stanze ormai vuote ma pregne di un silenzio assordante, Gary non regge ulteriormente alla visita e fugge via, si allontana in preda ad un dolore che non posso capire ma solamente immaginare; ritornerà dopo qualche ora, rabbuiato senza nessuna voglia di parlare.

 di Mario Cusimano

 

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Redazione the trip
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