Tempo di lettura: 8 min

di Giacomo Proia

Il finestrino del taxi che mi scarrozza dall’aeroporto all’albergo inquadra una terra bruna, priva di vegetazione, escludendo le pittoresche piante grasse che decorano i lembi di terra appena sopra il guard rail. La cresta irregolare del vulcano Teide, coperta parzialmente da qualche nuvola, sorveglia le colline che si abbassano progressivamente fino al mare. Questo paesaggio quasi lunare è sconvolto da enormi cartelloni pubblicitari variopinti che ti invitano a prenotare la tua visita a parchi acquatici, safari e discoteche. Ad Arona, costa sud occidentale dell’isola, alberghi che sembrano ospedali o navi da crociera nascondono il mare dallo sguardo fresco del turista. L’urbanistica casuale è confermata dagli edifici che si stagliano sulle colline, che sembrano essere stati gettati come un mucchietto di sassi da un gigante.

Siamo nella zona maggiormente turistica di Tenerife, quella del divertimento e del relax, quella delle centinaia di alberghi, dove è difficile trovare qualcosa di simile ad un’abitazione privata. La zona dell’isola più caratteristica è certamente quella a nord, dove i villaggi antichi e le attrazioni naturalistiche sono intatte e pronte a placare i turbamenti del turista più avventuroso e contemplativo. Ma io non ho cercato spiagge incontaminate da filtrare su Instagram, non ho camminato a piedi nudi, non ho visto albe o tramonti. Dal momento che ho sentito dire che un’esperienza non condivisa non è una vera esperienza, e comunque non l’avrei condivisa, ho preferito non farla affatto. Ho trascorso dieci giorni nella piscina dell’albergo.

L’hotel fa parte di una grande catena internazionale e si palesa come un prepotente blocco di architettura pseudo brutalista da quindici piani. Un semicerchio di bandiere da tutto il mondo accoglie il mio taxi nel cortile, confermando la vocazione al turismo globale della catena. La hall è disseminata di foto di gente di tutte le età che sembra davvero felice, circondata dai nomi di tantissime capitali mondiali in font “spiritosi”.

Quando alla reception la tipa poliglotta mi ha messo al polso un braccialetto di plastica celeste non avevo idea del lieve senso di frustrazione che quell’oggetto mi avrebbe procurato durante tutta la vacanza. Il famigerato bracciale è un segno distintivo che serve allo staff per identificare subito il mio status sociale all’interno della struttura, ovvero quello di povero. Mezza pensione, accesso alla piscina, bevande a parte al ristorante e bar a pagamento. Appena vedo un tedesco con il braccialetto lilla un senso di invidia di classe si fa largo tra la fame e la spossatezza. Il braccialetto lilla è quello dell’all inclusive, delle bevande comprese al ristorante e dell’open bar h24. Gli abbienti detentori del suddetto bracciale possono andare al bar della piscina e fare scorta di qualsiasi cosa, bibite alcoliche e analcoliche, hamburgers e ogni genere di schifezza. Fino a qui tutto nella norma, l’invidia di classe è gestibile, almeno fino a quando mi accorgo che nel buffet anche l’acqua è da pagare a parte. I lilla si muovono indisturbati nella zona bevande del ristorante e fanno scorta di birre, acqua e bibite zuccherate, mentre io dovrò pagare un euro e sessanta cent per ogni bottiglietta d’acqua. Per i primi pasti ne ho rubata sempre una da 0,5 l a temperatura ambiente, ma poi mi sono accorto che gli sguardi dei lilla, in particolare di quelli tedeschi, si facevano sempre più minacciosi. Anche i camerieri affaccendati se ne sono accorti e ogni volta sostituiscono la mia bottiglietta vip con un’altra, accompagnata da una ricevuta da pagare alla cassa. Questa speculazione sulla sete ha mosso il mio sdegno che non mi ha abbandonato per tutto il soggiorno.

Riesco tuttavia a consolarmi con i generosi buffet che offre il ristorante dell’albergo, un salone enorme che ricorda una mensa scolastica, ma meno mensa scolastica, forse più aziendale. Il menu propone cucine tipiche di varie nazioni, sempre per non venire meno alla politica internazionalista della catena.

Nel dettaglio il buffet comprende: carote, rape, cavoli, insalata, pomodori, broccoli, cavoli, olive nere e verdi, peperoni, spinaci, mais, fagioli, insalata russa, fagiolini, capperi, cipolline, cetriolini, cous cous, tacos, chili, sushi, pane bianco, pane integrale, pane tostato, rosette, ciabatte, pane di segale, hamburger, bistecche di manzo, roast beef, hot dog, costate di maiale, pollo piccante, pollo al curry, polpette, salmone, baccalà, orata, tonno, fettine panate, cannelloni che sembrano lasagne, pasta condita con salsa di pomodoro e salsa carbonara, nuggets di pollo, anelli di cipolla, bocconcini di merluzzo fritti, zucchine fritte, patatine fritte, carciofi fritti, patate al forno, parmigiana di melanzane, funghi, riso basmati, risotto ai funghi, pizza margherita, pizza al tonno, pizza ai funghi, involtini primavera, riso alla cantonese, uova alla coque, uova sode, frittata, paella di carne e di pesce, formaggio emmental, ricotta, feta, mozzarella, prosciutto, tacchino, mortadella, salame, verdure grigliate, verdure al forno, tiramisù, bignè, torta di mele, torta sacher, torta al whiskey, torta al cioccolato, torta black forest, mousse, gelatina, gelato, uva, banane, cocomero, melone, mele, prugne, pesche, albicocche. L’acqua non è compresa.

Ogni volta che ne ho la possibilità mi piace fare colazioni salate, come gli stranieri. Quale migliore occasione con un tale buffet mattiniero degno di quello serale. Un giorno si e uno no, fiero, mangio pane tostato con prosciutto o bacon e un po’ di uova strapazzate. Una volta ho anche fotografato il mio piatto. Tuttavia durante le colazioni nel mio albergo ho provato spesso un senso di disgusto guardando i piatti degli altri ospiti, per la maggior parte inglesi, irlandesi e tedeschi. Una mattina stavo per abbandonare la colazione alla vista del piatto della mia vicina di tavolo: cinque fette di bacon, fagioli con una strana salsa rossastra, tre grandi salsicce, tre fette di pane tostato, due uova occhio di bue e per finire due grandi anelli di cipolla fritti. Ho dimenticato di specificare che la mia vicina è palesemente sovrappeso.

La fauna che popola la piscina dell’albergo mi ricorda i gruppi di ippopotami che stazionano inerti nei laghetti degli zoo. Tutti sono fermi, ogni tanto si bagnano e si muovono solo per prendere cibo e bevande al bar. Ho notato che tutte le persone che leggono mostrano sempre delle copertine di libri molto vistose, con colori accesi e titoli in formato extra large. Non c’è nessuno che legga libri dei quali non sia possibile capire da pochi metri titolo e autore. La stessa osservazione potrebbe essere fatta benissimo su una qualsiasi spiaggia, ma il discorso sarebbe lungo e fuorviante.

Gli animatori dell’albergo entrano in azione in tarda mattinata, e con comunicati multilingua informano gli ospiti delle attività della giornata, utili a non farti pensare a nulla, soprattutto al fatto che la tua misera vita ricomincerà tra pochi giorni. In genere si inizia con attività fisiche come aqua-gym, aqua-spinning, aqua-zumba, e si finisce nel primo pomeriggio con un torneo. In dieci giorni l’unico torneo che ho visto è quello di dardos, le freccette, di cui i britannici chiassosi sono appassionati. I suddetti pallidi ospiti bevono birra dalla mattina alla sera e ridono a crepapelle per qualsiasi stronzata accada a qualcuno della loro comitiva. Li ho visti scompisciarsi a lungo per un rumoroso coppino dato da un tizio ad un altro.

Gli animatori non sono molto insistenti al contrario dei loro omologhi italiani: ti chiedono gentilmente se vuoi partecipare, e in caso di rifiuto ti salutano augurandoti una buona giornata, non ti bollano come noioso-triste-pigro urlandolo a tutta la piscina. Le attività fisiche sono molto frequentate, forse gli ospiti vogliono giustificare la prossima abbuffata tutto compreso facendo dei goffi movimenti aerobici dentro l’acqua, cercando di imitare quelli accademici degli animatori, dai fisici atletici e abbronzati, forgiati da intere stagioni di aqua-gym.

Ho visto delle pance talmente grandi da minare costantemente l’equilibrio dei rispettivi possessori. Addomi lisci e sproporzionati, modellati da birra, bacon, patatine e coca cola. Pance durissime piene di aria e residui di cibo mal digeriti da intestini iper sollecitati dal continuo ingozzarsi. In genere sono i detentori del braccialetto lilla che mostrano le trippe più importanti, sono loro che si prodigano in continui andirivieni dal bar, carichi di vettovaglie.

All’ingresso dell’albergo si nota una fila di scooter elettrici a quattro ruote, sono quelli parcheggiati dagli anziani che soggiornano in albergo. Se si fa una passeggiata diurna sul curato lungomare di Los Cristianos ci si può imbattere in decine di anziani a bordo di questi scooter a quattro ruote. Li vedi che si spostano felici da una spiaggia a l’altra, sono loro i padroni. Solo al mio rientro in Italia ho scoperto che sono moltissime le persone che decidono di trascorrere la terza età proprio a Tenerife, sia per la convenienza economica, sia per il clima mite tutto l’anno. A mio avviso è proprio il clima che ha trasformato questa terra aspra in una zona a vocazione esclusivamente turistica, un immenso baraccone mangiasoldi. Quando sembra che il sole settembrino inizi ad essere troppo insistente, ecco che una soffice brezza atlantica interviene a donare benessere. La stessa brezza, durante le ore notturne, mi ha fatto dormire sonni profondi come non mai.

La notte, appunto. Il lungomare di Los Cristianos, che di giorno è affollato dagli scooter a quattro ruote, la sera si svuota. Emblematica la scena in un ristorante all’aperto, con soli quattro clienti che ascoltano un uomo che canta Impressioni di settembre accompagnato dalla base MIDI di una tastiera da matrimonio. Ho scoperto che tutti i giovani che pensavo fossero assenti da Arona, al tramonto iniziano a popolare la zona di Las Americas. Il barista dell’albergo, mio connazionale, ogni volta che vado a prendere da bere durante lo spettacolo serale dell’animazione mi chiede resoconti sulla mia vita notturna, che a quanto pare a Tenerife non può non essere sfrenata. Ci tengo a precisare che il barista è milanese; questa delucidazione sarà utile al lettore per leggere le frasi virgolettate seguenti con un fastidioso e spiccato accento meneghino. Mi ripete in continuazione che a Tenerife “Puoi fare ciò che vuoi”, ogni sua sentenza è riferita al mio presunto sballo della sera prima “Ieri sera? Fatto danni?”, o ai bagordi che secondo lui mi attendono per la serata in corso “Stasera? Si fa baldoria?”. Una domanda che mi ha particolarmente irritato è stata: “Hai fatto i numeri ieri sera?”.

Nella zona della spiaggia di Las Americas ci sono strade zeppe di disco pub adiacenti per non dire appiccicati, ognuno dei quali ti aggredisce per strada con musica commerciale assordante e fastidiosi PR che provano in tutti i modi a farti entrare, azzardando promesse a loro detta irrinunciabili. Ad uno particolarmente insistente ho fatto capire con un gesto seccato che stava esagerando. Quando ha compreso le mie origini italiane si è scusato tempestivamente, come se tra i suoi compiti di PR non ci fosse quello di fregare gli italiani, i fregatori per antonomasia. Dopo le scuse mi ha comunque invitato ad entrare nel locale con la promessa di un chupito gratuito. Il fatto è che questi locali non hanno bisogno solo dei tuoi soldi, ma anche della tua presenza fisica, da utilizzare come garanzia di divertimento per i passanti che ti vedranno da fuori. Un locale con gente chiama gente, uno vuoto no. Perciò questi disgraziati armati di bigliettini ti trattano come se tu fossi la persona migliore del mondo, si avvicinano e fanno qualche passo accanto a te, chiedendo della tua provenienza e meravigliandosi e congratulandosi qualunque sia la tua risposta, Stati Uniti o Tagikistan.

Questi disco pub sembrano competere sulla scala dei decibel. Dato che sono letteralmente incollati tra loro, l’effetto acustico dalla strada è quello di un caos poliritmico stordente, che sembra potersi dissolvere solo scegliendo di entrare in uno dei locali. La maggior parte dei clienti sono inglesi e irlandesi. In gruppi di due o tre, si avvicinano agli sconosciuti, armati di sorrisi sdentati, guance rosse e lentiggini, e urlano frasi sconnesse con l’obbiettivo di condividere con chiunque la loro estasi alcolica. Le televisioni dei disco pub non smettono mai di trasmettere partite di calcio. Nella baraonda generata dai ragazzi che vomitano, si baciano e cadono per terra, mi sono soffermato a guardare una bella partita valevole per i quarti di finale dell’Asian Champions League, tra Al-Ahli, squadra degli Emirati Arabi e Persepolis, compagine iraniana che vincerà 3 a 1.

Le discoteche vere e proprie sono molto diverse dai disco pub: qui manca un po’ di spontaneità, tutti sembrano aver paura di fare un movimento di troppo o una risata scomposta; la maggior parte delle persone, ben vestite, sostano sul posto lasciando che la testa ondeggi e che gli occhi guardino intorno con il campo visivo più ampio possibile, per intercettare eventuali partner amorosi. Manca quella genuinità del disco pub, dove somigliare ad un macaco non rappresenta un problema reale per nessuno. In discoteca pochi accennano movimenti più appassionati, a volte anche con gli occhi chiusi, scossi da una techno che definirei allarmante, come la musica di una scena di inseguimento.

I buttafuori non sorridono. Mai.

Una cosa che mi ha sconvolto non poco è che nei bagni delle discoteche ci sono sempre dei tizi che accolgono gli avventori dei cessi a parete: distribuiscono il sapone premendo sul dispenser e poi forniscono un pezzo di carta per asciugarsi le mani. Queste persone fanno questo mestiere: trascorrono ore nei bagni maleodoranti di una discoteca e distribuiscono sapone e carta agli ubriachi che si lavano le mani dopo aver orinato. La cosa agghiacciante è che quando lo fanno sorridono e addirittura lanciano battute.

Non ce la faccio ad affrontare il popolo della notte più di tre volte. Meglio godersi i miserabili spettacoli serali dell’animazione, facendo credere all’intransigente barista che si uscirà più tardi a fare casino.

Sono tornato in Italia grasso e raffreddato, chiedendomi perché nonostante ci siano tanti posti belli nel nostro paese che non conosciamo, siamo sempre spinti a cercare l’esotico e il lontano. In effetti le cose che ho fatto a Tenerife, sdraiato all’ombra in piscina, o nelle discoteche in mezzo agli inglesi sbronzi, avrei potute farle anche in Italia, a Cesenatico per esempio.

Articolo precedenteMacau: regione del gioco tra cultura portoghese ed economia cinese
Articolo successivoPolonia: un tour a piedi per Cracovia
Redazione the trip
The Trip Magazine nasce agli inizia del 2010 a Roma per proporsi come punto di vista alternativo al modo convenzionale di viaggiare. Siamo uno spazio virtuale per la promozione della cultura del viaggio e dei suoi protagonisti. Amiamo la natura e i paesaggi, la storia ed i monumenti, ma prima di tutto amiamo le persone e le dinamiche umane che si celano dietro di esse, a tutte le latitudini del mondo.