di Erica Valentini
“È inutile dire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere la città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri riescono a cancellare la città o ne sono cancellati”
Così scriveva Calvino in “Le Città Invisibili”. Zenobia è il nome di un luogo di fantasia, eppure la sua descrizione risuona nella testa mentre si gira per Rio de Janeiro. Si può prendere il sole a Copacabana, ma dando le spalle al mare e puntando lo sguardo oltre la punta del naso, questo si scontrerà con la vista delle baracche, subito dietro ai grattacieli. Si può alloggiare allo Sheraton e notare come l’hotel di lusso faccia ombra sulla favela di Vidigal. In qualsiasi zona della città una quantità di luci pulsanti dagli slum sui colli faranno da sfondo. Dai bus accaldati si possono osservare sfilare tutte le contraddizioni che fanno la Cidade Maravilhosa, per non parlare di quando si esce dalla città: allora si attraversa una periferia lunga lunga, fatta solo di case sgangherate, traffico e grandi centri commerciali.
È una metropoli in cantiere Rio. Ora qui, ora là, ci si imbatte in grandi opere in corso. Proprio come a Zenobia questa trasformazione darà forma ai desideri di alcuni e cancellerà quelli di altri.
I Mondiali 2014 e le Olimpiadi di Rio 2016, in quanto grande fonte di finanziamento e di profitto, sono il piede sull’acceleratore di un processo, in atto dagli anni Novanta, che si basa su tre imperativi: competitività, produttività, subordinazione dei fini alla logica di mercato; così, sempre più servizi e aree vengono destinate alle élites che hanno un maggior potere d’acquisto.
Lo dimostra il settore della mobilità urbana, per cui le nuove risorse sono state investite in mezzi di trasporto che collegano le aree già efficienti, e i centri residenziali per ricchi, trascurando completamente la periferia della città, dove vi è una forte concentrazione di abitanti, povertà e scarsità di servizi.
Lo si deduce dalla nuova politica di sicurezza, implementata nelle favelas geograficamente strategiche per lo svolgimento dei giochi olimpici: le cosiddette pacificazioni consistono nell’installazione in pianta stabile dell’Unidade de Policia Pacificadora. Questa dovrebbe agire da “controllore” degli abitanti e operare un contenimento del narcotraffico. Contenimento non significa debellamento, s’intende. L’obiettivo è coprirne le manifestazioni più violente. Così il traffico si sposta nelle zone periferiche, aumentandone il degrado. Non solo: le pacificazioni servono affinché le favelas vengano integrate alla città, attraverso opere pubbliche, infrastrutture, ma soprattutto per mezzo della formalizzazione dell’accesso ai servizi (dall’acqua alla tv). I favelados sono uguali a tutti i cittadini? Che paghino tasse e bollette allora.
D’altra parte però le riqualificazioni hanno fatto sì che i quartieri centrali registrassero una valorizzazione al di sopra del 300% , favelas limitrofe comprese. Di fronte a un tale innalzamento del costo della vita, gli indigenti – quasi un quarto degli abitanti- si trovano ad un bivio: spostarsi in periferia ( dicesi espulsione bianca) o venir rimossi forzatamente per lasciar spazio ad opere di una contestata pubblica utilità. Quest’ultimo destino ha riguardato circa 13 mila persone secondo i dati del 2014. Intanto la gentrificazione imperversa nelle favelas più gettonate: la classe media compra e affitta immobili, i sushi bar aprono, le gite turistiche per i gringos con i loro selfies tra le baracche e il panorama mozzafiato si moltiplicano,aprono ostelli, gli speculatori speculano, le comunità si disgregano.
È quello che sta accadendo anche nella favela di Cantagalo, stretta nella morsa tra Copacabana e Ipanema. Oltre all’ascensore panoramico che la collega alla metro, la prova più palese del processo in atto è forse data dalla presenza del Gilda, un locale lounge e “non- cheap” come lo descrive il proprietario milanese. D. mi spiega che la sua intenzione è quella di creare un bar per stranieri e classe medio-alta che possano godere “del fattore esperienza”(sorseggiare un cocktail costoso su una terrazza immersa in uno slum), e magari anche speculare sull’immobile, se fosse riuscito ad acquistarlo. “Se tu dessi il diritto di proprietà delle case ai favelados, loro se le venderebbero, arriverebbe la speculazione edilizia, si costruirebbero condomini di lusso, ville, ateliers, ristoranti…”.
È quello che probabilmente sta per accadere: dal 2009 infatti lo Stato ha donato definitivamente il terreno su cui Cantagalo giace ad un’agenzia privata che si occupa di distribuire titoli di proprietà. Uscendo di scena, il potere statale perde la possibilità di attuare un piano abitativo sociale, di agire da fiscalizzatore contro la speculazione immobiliare.
R., da sempre residente di Cantagalo, racconta: “Spesso gli investitori si presentano a casa di qualcuno con i contanti. Immagina un tipo disoccupato che vede davanti a sé centomila, duecento mila reais… finisce per vendere la casa! Intanto per ognuno che esce, la comunità s’ indebolisce. Da un momento all’altro vedi i tuoi vicini congedarsi. Io dico: genera pure ricchezza per gli altri ma rivendicane una parte! Rifletti bene su quale sia il prezzo da pagare! Puoi perderci la casa e la città! Io non uscirò! Qui abbiamo un senso di famiglia. Contiamo molto sui nostri vicini e parenti. Questa solidarietà è importante!”
S., autoctona della favela mi dice “sono contenta di accogliere persone nuove ma non sopporto quelle benestanti che occupano un posto qua, approfittano delle tasse basse, e non danno nulla indietro alla comunità, non contribuiscono, neanche in progetti sociali”.
Eppure adesso, quelle stesse “persone benestanti” sembrano essere i veri cittadini della città Olimpica. Al resto dei residenti invece, ciò che si sta offrendo non è altro che la negazione del diritto alla città.