Tra Altopascio e San Miniato nella zona depressa del Fucecchio
testo di Federica Araco | foto di Francesco Van Straten, francescovanstraten.com
Non perdere il treno per me è sempre una scommessa ma stavolta sono riuscita ad arrivare sui binari con ben quattro minuti di anticipo. Trascino soddisfatta il pesante trolley nella carrozza e, una volta seduta, socchiudo gli occhi lasciando sprofondare il mio corpo nel morbido sedile, aspettando la partenza. Sono emozionata come una bambina. Amo la natura, adoro cavalcare e già pregusto l’intensità e la bellezza di questo fine settimana di trekking lungo la Francigena.
Partiremo domani all’alba da Mosummanno, un piccolo centro a pochi chilometri da Montecatini Terme, per costeggiare l’antica Via di pellegrinaggio che attraversa la Toscana in senso longitudinale, collegando Roma alla Francia.
Mentre il treno sferraglia ne approfitto per sonnecchiare un po’, riscaldata dal pigro sole primaverile che filtra dal finestrino. Il viaggio trascorre veloce e al mio arrivo a destinazione sono fresca e riposata, pronta a lanciarmi in questa nuova avventura.
Riccardo e Marlene, le mie guide, mi accolgono nel loro paradiso: uno splendido casolare immerso nel verde dove allevano cavalli in modo naturale. Niente ferri agli zoccoli, né box o coperte, solo vita all’aria aperta e alimentazione a base di fieno. Salita in sella, mentre trotterello spensierata per familiarizzare con il mansueto quadrupede che mi è stato affidato, sperimento un modo completamente nuovo di cavalcare.

La respirazione, spiega Riccardo, è fondamentale: si inspira espandendo l’addome e il torace per accelerare il passo e si espira, incurvando leggermente il busto, per rallentarlo, o fermarsi del tutto.
«Il cavallo è una preda estremamente sensibile, capace di cogliere sottili sfumature energetiche», dice. «Più il cavaliere è connesso e rilassato più riuscirà a inviargli segnali chiari con il linguaggio del suo corpo e la relazione tra i due sarà fluida e armoniosa». Sono piacevolmente colpita dalle assonanze tra il loro approccio e la mia pratica di yoga, meditazione e bioenergetica, ormai decennale.
E pensare che sono capitata qui “per caso”… Mi concentro sul respiro provando a entrare in sintonia con il ritmo di un movimento che da lentissimo si fa più veloce, per poi rallentare di nuovo.
«Sono pronta, sono quasi pronta», mi ripeto nel letto, mentre le immagini, i suoni e gli odori di quella natura incontaminata sfumano dolcemente lasciando spazio alla frenetica attività onirica del mio inconscio metropolitano.
Mi sveglio cullata dal cinguettio festoso dei passerotti appollaiati tra i rami del glicine bianco, appena fuori la mia finestra.
Preparati i cavalli, procediamo in fila indiana su uno stretto sentiero che si snoda tra i campi per inoltrarci nel Parco Naturale del Padule del Fucecchio, l’area umida interna più estesa di Italia e tra le più importanti d’Europa. Un luogo magico e segreto, tra la provincia di Pistoia e quella di Firenze, nel cuore della Val di Nievole. Un sistema di canali comunicanti si dirama tra fitti argini erbosi punteggiati da piccolissimi fiori di campo e cespi di sarello, il materiale usato per impagliare le tipiche sedie toscane, i fiaschi di vino e le borse.
Le palafitte in legno, qualche guardiola di avvistamento e piccoli porticcioli con le tipiche imbarcazioni, longilinee ed eleganti, testimoniano l’intensa attività venatoria che si svolge in queste zone. «C’è un’incredibile biodiversità», racconta Marlene, che qui è nata e cresciuta. Sulla rotta di alcuni uccelli migratori, il Padule è anche un luogo di nidificazione per molte specie, come la garzaia, la garzetta, l’airone bianco, il cenerino e la cicogna.
La vegetazione è molto rigogliosa in primavera mentre d’inverno gran parte del territorio è sommersa dalle acque. «L’atmosfera diventa surreale, avvolta da una nebbia fittissima», ricorda Riccardo. «In passato, questo era un nascondiglio perfetto per i briganti dediti a commerci illeciti e per i malviventi in fuga che volevano sottrarsi ai controlli lungo la Francigena».

Ci inoltriamo nel bosco nuovo di Chiusi e dopo circa tre ore raggiungiamo il lago dei Salici dove passeremo la notte. C’è un piccolo circolo sportivo che propone diverse attività ricreative ed eventi culturali. Il proprietario, Piero, è un ragazzone sulla quarantina dal sorriso docile e gli occhi allegri. Quando anche gli ultimi visitatori vanno via montiamo le tende e sistemiamo i cavalli in un piccolo giardino recintato. Il vociare dei bambini lascia gradualmente il posto a un silenzio denso e rilassante, interrotto solo dal canto di qualche civetta e altri uccelli notturni. Ne approfitto per avvicinarmi al lago, ipnotizzata dal suono dell’acqua che sbatte sulla banchina in legno, mentre il sole cala dolcemente dietro le colline incorniciate da una fila ordinata di cipressi.
Ci rimettiamo in viaggio poco dopo mezzogiorno, dirigendoci verso il bosco vecchio di Chiusi. «La leggenda narra che qui vivesse uno stregone, Ramone, che curava con le erbe», racconta Riccardo indicandomi un casolare abbandonato vicino a un laghetto di ninfee. La grande piccionaia che domina il tetto appuntito conferisce alla costruzione, nota come Casina delle Fate, un aspetto vagamente sinistro. «Si dice che il fattucchiere, di notte, si trasformasse in uccello per muoversi più rapidamente e dedicarsi alla magia nera senza essere riconosciuto» prosegue legando i nostri cavalli alle ringhiere arrugginite. «Quando pernottiamo qui con le tende accadono cose strane», continua Marlene. «Ci svegliamo la mattina e gli alberi attorno a noi sembrano aver cambiato posizione, l’erba del prato ci appare cresciuta, l’atmosfera diversa, come animata».
Non sono particolarmente coraggiosa, ammetto, e questi racconti non mi faranno dormire stanotte. Lascio cadere la conversazione, sperando che nessuno riprenda il discorso con altri agghiaccianti particolari, e provo a rilassarmi sotto un pruno selvatico sbirciando con la coda dell’occhio per accertarmi che rimanga esattamente lì dove si trova.
Riprendiamo il viaggio tra stradine bianche e cespugli di more, ginestre e biancospino. Il terreno in alcuni punti è smosso, rivelando la presenza di una nutrita comunità di cinghiali, lepri, volpi e caprioli. Proseguiamo in silenzio, avvolti dai suoni della natura: gli zoccoli sul selciato, il vento tra i rami, il rilassante cigolio delle nostre selle.
Socchiudo gli occhi inspirando ed espirando per assorbire la quieta bellezza che mi circonda. Ne avrò un gran bisogno per riaffrontare la frenesia della vita romana: domani è già lunedì.
www.agriturismoilbottaccino.it
TAPPA N.7 DA ALTOPASCIO A SAN MINIATO
Acqua e punti di ristoro a Chimenti, Galleno, Ponte a Cappiano e Fucecchio.

Lunghezza Totale (km): 25.3
Percorribilità: A piedi, in mountain bike
Tempo di percorrenza a piedi (ore.min): 5.40
Dislivello in salita (m): 283
Dislivello in discesa (m): 173
Quota massima (m): 130
Difficoltà: Facile
Strade pavimentate: 44%
Strade sterrate e carrarecce: 53%
Mulattiere e sentieri: 3%
Ciclabilità: 100%
About the photographer:
Francesco Van Straten
Nato e cresciuto a Firenze, a 20 anni, confuso su cosa fare da grande, tediato dagli studi universitari e animato da un sano desiderio di indipendenza, si trasferisce a Milano per seguire una nuova passione: la fotografia. Dopo la formazione, sempre voglioso di crescere e allontanarsi dal conosciuto, va a vivere a New York per 3 anni dove lavora come assistente e inizia a collaborare con alcune riviste.
Dopo il famoso 11 Settembre 2001 decide di “mettere la testa a partito” e torna nella ridente Milano dove dal 2002 lavora per l’editoria (Vogue, L’Officiel, Elle, Amica) e per la pubblicità per clienti come Valentino, Diesel, Sky, Vodafone, BMW, TIM, Cocacola, Safilo e partecipa alla messa al mondo di due figli.
Recentemente ha pubblicato una sua fanzine che è stata esposta al Palais de Tokyo a Parigi, continua ad amare la fotografia e la vita in tutte le sue sfumature.