di Giacomo Proia
Lasciarsi Palermo alle spalle suscita delle emozioni contrastanti. Da una parte c’è il sollievo per essere usciti dal caos di un traffico privo di regole; dall’altra c’è l’inquietudine, che cresce mano a mano che le costruzioni umane che caratterizzano il paesaggio intorno alla superstrada SS624 tendono a scomparire.
C’è forte vento e l’auto sbanda spesso senza preavviso, pioggia e sole si alternano assiduamente, giocando con le luci e i colori del paesaggio. Le automobili che si incontrano sono sempre meno e le raffiche di vento sempre più forti, soprattutto sui i viadotti che attraversano gli strapiombi alti e minacciosi. Le mani strette intorno al volante iniziano a far male.

Il navigatore dello smartphone, che per un’ora si era limitato a ricordare di restare sulla SS624, indica ora di abbandonarla. La strada, che si stringe immediatamente, inizia ora a fratturarsi e sporcarsi di fango. Un paio di furgoni si muovono verso la superstrada, saranno gli ultimi due veicoli che si incontreranno fino al cretto di Burri.
Il cretto di Burri è forse l’opera di land art più suggestiva che si trova sul territorio italiano. Si tratta di un complesso enorme di blocchi di cemento collocati dove sorgeva Gibellina, distrutta dal terremoto del Belice del 1968. Negli 8000 metri quadrati dell’opera, costruita tra il 1984 e il 1986, Burri è riuscito a rappresentare la frattura irreparabile che il sisma ha provocato nel territorio e soprattutto nelle anime dei sopravvissuti.
Il navigatore si comporta in modo strano, suggerisce di prendere delle strade, poi cambia idea e invita ad effettuare inversioni di marcia: nessun problema considerando che il traffico è inesistente. Il paesaggio intorno all’auto è ipnotico: la piana si distende nuda fino ai colli lontani, ogni tanto si incontra una costruzione umana, sempre abbandonata.
Improvvisamente un ciottolo mosso dal vento colpisce il parabrezza e fa gelare il sangue. Il navigatore guida fino alla collina mentre il cielo si annerisce. Il cartello “strada chiusa” che si presenta prima della salita indurrebbe a trovare nuove vie, ma la fiducia verso la tecnologia è totale, si deve procedere.

La strada si inerpica e sale verso il colle, i suoi bordi dissestati costringono ad andare piano se non si vuole sprofondare. Le curve sono sempre più ostili, la Nissan Micra noleggiata a Palermo inizia ad avere palesi difficoltà nella salita. Rami e ciottoli invadono la strada, sembra davvero che nessuno la percorra da anni. Inizia a piovere, il cellulare perde il segnale e il navigatore tace alla ricerca disperata di una rete.
Ormai l’asfalto della strada è disseminato di crepa e di buche profonde. La guida diventa molto difficile e le mani sudate stringono il volante ansiose di arrivare a destinazione. Le manovre sono prudenti, la sensazione è che il minimo errore nella guida potrebbe trasformare la gita in un disastro.
Dopo un paio di salite ripidissime in cui la Micra ha dato prova di grande audacia, ecco che appaiono delle immense pale eoliche. Passarci in mezzo non fa altro che alimentare la tensione, ma una fiammella di speranza inizia ad agitarsi: se ci sono le pale significa che ci sono anche dei tecnici che devono raggiungerle.
Lasciando la cima della collina si inizia a scendere, la strada si allarga e le buche rimpiccioliscono. Ad un tratto un raggio di sole si fa largo tra il grigiore e sembra indicare la via fino ad una struttura monumentale che copre la collina: eccolo il cretto di Burri.
La vista di quegli enormi blocchi bianchi colpiti dal sole, di quel monumento grande come un paese, provoca sensazioni che agiscono direttamente sul corpo, impreparato ad assorbirle. Colpisce l’originalità e l’unicità di quel luogo, avvolto dal vento forte e da un silenzio potente e vivo, come se centinaia di persone fossero appena andate via.
Si può passeggiare tra le spaccature del cretto, vicoli asettici che solo l’immaginazione può riempire di suoni e colori, di bambini che corrono e di contadini che tornano dalla campagna.

Il cielo si tinge di azzurro, sollievo. Diversi turisti passeggiano intorno al monumento. Sono arrivati dalla bella strada opposta a quell’inferno fangoso e dissestato che ho attraversato. Mi avvicino, voglio chiedere loro quale navigatore abbiano usato.
