di Pier Gabriele Barbato
foto di Timofey Kolesnikov | timdiary.com
Dieci centimetri di ghiaccio che ricoprono il marciapiede, piccoli respiri per non sentire il gelo nei polmoni che ti lascia senza fiato, punto i piedi uno alla volta e mi aggrappo al muro e agli alberi per non rotolare giù per la discesa. Mi hanno detto che qui si trova il locale più famoso, quello frequentato dalle famiglie della Mosca bene, quelle con la mentalità chiusa, che credono nelle regole militari e hanno i figli che nel weekend scendono in piazza a cantare Москву москвичам (Mosca ai moscoviti), oppure che scappano di casa disgustati dalla rigidità dei padri che li comandano a bacchetta; omosessuali dichiarati, che ancora mandano alle mamme le foto con le amiche, e raccontano che sono fidanzati con la più bella per non essere giudicati.
Doveva essere dietro il Teatro Na Taganke. Il locale era il vecchio dietro le quinte della compagnia teatrale degli anni Sessanta. Spesso mi dimentico che questa città ha più teatri che chiese, e che almeno una volta a settimana ogni moscovita va a teatro. Vedo degli scalini in fondo alla via e una luce sotto una pensilina. Busso. Certo, coi guanti non si sente nulla. Riprovo, ma pur di non esporre la mano al gelo dei meno ventiquattro uso la punta dello stivaletto. Mi aprono due omoni, e come al solito dalle loro spalle arrivano musica, luce, urla e risate. Nel poco spazio lasciato libero dai loro corpi intravedo un locale a due piani, tutto in legno scuro e, soprattutto, caldo.
Comincia così la serata a una tavolata di russi: ognuno ha vicino a sé la propria bottiglia di vodka, che sorseggia diligentemente a bicchierini, mentre s’infila in bocca una processione di cetrioli salati. E ancora devono ordinare. Se voglio evitare di sentirmi escluso non posso che fare come loro. Sul palchetto la musica jazz del complesso dal vivo aumenta il ritmo, come se seguisse gli effetti della vodka dentro di te (o forse è il contrario), fino a che non ti trascina a ballare appena dopo il primo piatto. Ed è solo l’inizio. Verso l’una di notte comincia la serata, dicono qui. Mi danno l’indirizzo di un locale dall’altra parte della città dove altri amici mi aspettano, e ricomincia l’avventura. Infilo uno sull’altro giacchetta e giaccone, quindi cappello, sciarpa, guanti, ed esco dalla porticina sfidando i meno ventiquattro, il vento e lo strato di ghiaccio insidioso.
Seguo le luci dei grandi palazzi, quelle del lungo fiume Moscova o quelle più luminose del Cremlino, punto di riferimento anche di notte, per raggiungere uno dei grandi viali dove poter fermare una macchina, una qualsiasi. Qui tutte le auto sono taxi potenziali, basta mettersi d’accordo sulla cifra prima di salire, se vanno nella tua stessa direzione meglio ancora. Così l’ennesimo armeno, turco, ceceno, siberiano o azerbaijano che si ferma sarà un nuovo amico da conoscere, col quale parlare della sua e della tua vita, perché almeno una mezz’ora in macchina con lui te la devi fare in questa metropoli gigante. E devi sperare che non fumi. Altrimenti terrà i finestrini aperti e sarà come andare in motorino con del ghiaccio secco sparato in faccia che ti brucia la pelle.
Anche quest’altro appuntamento si trasforma rapidamente in un’inquietante ricerca della meta: ti lasciano correttamente all’isolato che corrisponde al nostro numero civico, ma questo ha almeno quattro lati e per trovare la porticina agognata c’è da camminarci intorno, e fa sempre più freddo e continui a tremare. Ti circondano alte ragazze moscovite che si librano con disinvoltura sui tacchi a spillo. Sembra una presa in giro quando tu stai con le mani sempre pronte ad afferrarsi al muro per non cadere sul ghiaccio, ma in fondo vi separano anni e anni di esperienza. Le donne amano divertirsi, sono lontane dalla nostra mentalità maschilista. Combattono ogni giorno con gli uomini che le maltrattano, con il clima, con la società che non le riconosce del tutto, con i figli, e tra di loro, nella cura quotidiana del proprio corpo. Mai viste ragazze in tuta al supermercato o sudate in palestra. Sono sempre tiratissime e curate in ogni particolare, con forza e autostima, proprio per essere riconosciute. Il sesso e il concedersi facilmente per molte è un divertimento come un altro, per evadere dallo stile della loro cultura. Non vi è nulla di scandaloso che le segna come succederebbe nella società occidentale influenzata dalla mentalità della Chiesa.
I palazzi, in mattoni rossi e con le finestre tutte uguali, sembrano fabbriche sovietiche in abbandono; da fuori non si vede nulla. Devo trovare la porticina, anonima, senza insegna e spesso nemmeno una luce. È una caccia al tesoro, ma dietro quella giusta c’è la festa. Questa volta va meglio. Davanti a un’entrata chiusa da un pesante sportello di acciaio nero staziona un gruppo di modelle altissime, tacchi e minigonne, gambe sconfinate e capelli fluenti. Sorrido, pensando alla mia bella calzamaglia sotto i jeans, mentre loro non sembrano nemmeno accorgersi del freddo, prese come sono a imprecare perché, prive di invito, sono costrette a restare fuori. In questa città succede anche questo, tutto sembra andare al contrario. Si affaccia un barbone, mi guarda e mi studia in silenzio. Io gli dico il nome dell’amico che mi ha invitato. Sono obbligato a parlare russo, qui l’inglese è ancora la lingua del nemico. Per il resto non hanno pregiudizi, puoi vestirti come vuoi e avere un brutto aspetto, ma l’inglese o la donna che si fa pagare no. La porticina si spalanca, ma per me solo. Il barbone mi tira dentro e sbatte la porta, lasciando fuori il ghiaccio e le ragazze. Lo seguo lungo un corridoio buio, dove altri barboni mi sorridono e mi invitano a togliermi i vari strati.
C’è un bel caldo infatti: mi rilasso e sento della musica elettronica assordante che arriva dal fondo del corridoio. Sposto la pesante tenda nera tipo sipario e di fronte a me si apre uno spazio gigantesco, affollato di gente. È proprio un’ex fabbrica dell’epoca sovietica, coi muri in mattoni rossi, i soffitti altissimi e scale su ogni lato che conducono ad altre terrazze e ad altre sale che si susseguono a perdita d’occhio. In fondo c’è il palco col dj, davanti a lui tremila persone di ogni razza e colore che ballano, bevono e ammirano i ballerini che danzano e si contorcono. I russi sono alti ma anche bassi, biondi ma anche mori, di carnagione chiara ma anche olivastra, con occhi di ghiaccio ma anche scuri. È la capitale dell’unico Stato che copre un quinto del mappamondo, dove accorrono in molti a cercar fortuna. Nelle salette si ordina da bere e da mangiare: c’è di tutto, non solo snack ma anche piatti caldi, dolci e salati, ogni genere di bevanda e cocktail ricercati.
Sono appena le tre del mattino, ma nel frastuono qualcuno mi dice che il locale non chiude, la festa va avanti per altri due giorni, senza interruzione. Senza regole né dimensioni, come tutto qui a Mosca e in Russia. Perché tutto è più grande, più lungo, più largo, tutto è eccessivo e smisurato. Una volta un russo attempato al bancone di un bar mi disse: «ехать на поезде из Милана в Бари 3 часа, но идти от Москвы до Владивостока 1 неделя». («Per andare in treno da Milano a Bari ci metti sei ore, ma da Mosca a Vladivostok ti ci vuole una settimana»).
Finalmente incontro i miei amici russi e come di rito sono loro ospite, mi mettono totalmente a mio agio offrendomi qualsiasi tipo di vizio e assicurandosi che stia bene ogni quindici minuti. Il russo è così, una volta che conquisti la sua fiducia diventi suo fratello, ti prende sotto la sua ala e ti segue ogni momento, ti dà tutto, ciò che è suo è tuo. La nottata passa e non ti accorgi di che ore siano, i locali sono attrezzati con coperture di ferro che oscurano le vetrate, anche se le ore di luce sono solo quattro o cinque in inverno. A un tratto tutti insieme decidiamo di andar via e di prendere le macchine, ma non si torna a casa, si va fuori città, nella dacia, la casa in campagna nella steppa. Tutti ne hanno una, povera o ricca, dalla baracca alla villa di lusso. Casette di legno rigorosamente con la bania russa (né sauna finlandese né bagno turco), l’idromassaggio, il bosco e il giardino. Si mangia e ci si rilassa in gruppo per riprendersi dagli sforzi della settimana e dal delirio dei locali. Il rituale che viene eseguito è idromassaggio, bania, shot di vodka al peperoncino, corsetta in costume nella neve. Sensazioni forti, rigeneranti e fortificanti.
È una città estrema, cattiva, gelida, ma quando la conosci e la scopri ti offre tutto ciò che vuoi. Mosca è passionale, ti entra dentro. Come il freddo, e come il caldo.