testo e foto di Anna Volpi (vincitrice del concorso “the trip. il mondo a Roma“)
Ci immaginiamo un Brasile pieno di colori vivaci che si muovono al frenetico ritmo di suoni pulsanti. Colori che si muovono su persone, bandiere, strumenti musicali. E in alcuni momenti si può trovare questo, ma i colori che troviamo io e Lella sono fermi, silenziosi, storici, potenti e magici. Piove tutti i giorni. Le gocce arrivano senza preavviso e con furore. Le nuvole viola sovrastano un oceano grigio per 10 minuti, poi il sole torna a colorarci la pelle.
A Joao Pessoa siamo ospiti di due ragazzi tramite couchsurfing.com. Siamo come a casa. Le serate si colorano di conversazione, film, forrò (la musica tipica della regione) e caipirinhas con lime verdissimi. Coccolati dall’amaca sulla veranda la sera ad ascoltare la pioggia, le persone che passano in strada, i nostri pensieri. Daniel e Wauber ci raccontano del loro Brasile, dell’amore per la loro regione, della corruzione in politica, delle favelas, dei loro ritmi.
Daniel ci porta a Bahia de Traiçao. Chilometri e chilometri di verde intenso, dove ci perdiamo. Il verde delle foglie suona ogni volta che cade una goccia di pioggia. La terra è rossa e sabbiosa, piena di pozzanghere alte fino alle porte della Jeep.
Un uomo in bici ci porta fuori dalla foresta e fuori dalla riserva degli indios, fino ad una baia dove aspettiamo una zattera che porta noi e la macchina dall’altra parte. Girata la curva dello sbocco del fiume si apre davanti a noi una scena che ci entra nel cuore. Un oceano blu scuro, una spiaggia infinita, abitata solo da qualche piccolo peschereccio in semplice legno. Il sole è gentile, sta dietro le nuvole, è una giornata che sembra infinita.
Come un taglio prematuro al cordone ombelicale siamo su un autobus dirette a Jericoacoara. Joao ci ha fatto vedere il colore che la gente ha dentro. Colori caldi, accoglienti, di tutti i tipi, pronti a mescolarsi con i nostri, che si sono rinvigoriti moltissimo dalla partenza dall’Italia, che ormai neanche sfiora i nostri pensieri.
Per arrivare a Jericoacoara, o Jeri, bisogna fare 25 chilometri tra dune biancastre, palme alte e asini. Ci si impiega un’ora. Il paese è piccolo, 6 strade sabbiose che portano all’oceano. La spiaggia è grigia e lunghissima, dominata da una grossa duna bianca, da dove si guarda il tramonto e il suo arancio che mette a riposo i surfisti. L’altra spiaggia è affiancata da una collina verde dove riposano vacche; sembra la Svizzera.
Le case sono gialle, azzurre, rosse, verdi, viola, rosa, variopinte. Riflette la varietà degli abitanti. Molte persone da molti luoghi intorno al mondo non sono state capaci di lasciare Jeri. Qui la vita scorre tranquilla e limpida, colorata dall’amicizia, il sole, la capoeira, il surf, la pesca. Dopo un pomeriggio di birra e cachaça da Mario al suo locale Dumundu, in compagnia di varie nazionalità cominciamo a colorarci l’anima anche noi, e capiamo molto bene perché sia così facile rimanere sulla sabbia della cara Jeri. Meritano una parola anche i ragazzi che abitano qui, di tutti i colori di pelle, scolpiti dalle onde. Un appuntamento che non può mancare è la capoeira del tramonto, quando i ragazzi a torso nudo si muovono nell’aria come se il loro corpo non avesse peso. Si canta e si suona accompagnando il cielo attraverso tutte le sue sfumature di fine giornata, finchè è solo la luna a tingere la pelle, la sabbia, gli occhi, il respiro. Tutta la vita si raccoglie in quell’attimo, non serve nient’altro che l’essere qui ora.
Dobbiamo lasciare Jeri. Sembra innaturale, sbagliato. Per una notte ci troviamo in un buco nero chiamato Tutoja, che viene per fortuna velocemente cancellato dal viaggio verso Barreirinhas. Per arrivarci attraversiamo una specie di pampas senza strade fatta di erba verde, stagni d’acqua, dune di sabbia, cavalli, avvoltoi, vacche. Il caldo e il movimento ondeggiante della Toyota invitano ad un profondo sonno, impossibile seduti dietro. Mentre ci avviciniamo alla piccola città alcuni bambini si arrampicano dietro la macchina per velocizzare il lungo cammino da scuola a casa.
Appena arrivati a Barreirinhas riusciamo ad unirci ad un gruppo che parte per il parco nazionale Lençois Marenhenses. Attraversiamo un fiume poi viaggiamo per un’ora lungo una stretta stradina di sabbia tra due mura di fogliame verde scuro. Ci fermiamo e scaliamo una piccola salita di sabbia, arriviamo in cima e vediamo bianco. Fino all’orizzonte ci sono solo dune bianche che vivono accanto a lagunette di acqua piovana. Un silenzio pesante, vivo. Mi giro e vedo verde fino all’orizzonte. Il mondo sembra tagliato a metà, verde e bianco che vivono uno accanto all’altra, sono così diverse ma parte di un tutt’uno.
Camminiamo e non vorremmo mai più fermarci. L’acqua è fresca, il sole non scotta, le forme sono continue e danzanti. Ogni nostro respiro sembra il primo della nostra vita.
Così guardiamo il tramonto. Mezzo mondo che si incendia. La sensazione di non avere bisogno di nulla, di un momento infinito, senza misure e limiti.
Sao Luis ha un cuore antico, e per antico si intende il periodo della colonizzazione, gli inizi del diciasettesimo secolo. Il centro storico della città è un collage di azulejos, piastrelle di cermaica variopinte importate dai Portoghesi. Coprono tutti gli edifici di questo sito dell’UNESCO, che un tempo era ricco e promettente. Ora il centro sta cadendo a pezzi, mancano piastrelle oveunque, interrompendo il flusso geometrico delle decorazioni. Si possono comprare magliette e calamite che raffigurano le forme e i colori delle piastrelle, ma i veri colori e le vere forme di Sao Luis si vedono il Giovedì e Venerdì sera, lungo una piccola via del centro, ad una festa che si chiama Toda vida es uma fiesta. Per questo evento settimanale si riuniscono persone di ogni tipo: hippies, giovani, vecchi, stranieri, punk, musicisti, skaters, senza tetto, artisti e molti altri. Chi vuole suonare suona, chi vuole ballare balla, chi vuole bere compra birra dai carrettini o si porta appresso una bottiglia di cachaça. Quando diluvia, la festa si sposta dentro un edificio, poi si sposta di nuovo fuori, e si balla il forrò nelle pozzanghere. Tutti sono amici di tutti. Qui ogni persona assume mille colori diversi, scambiandoli in continuazione con gli altri.
Dopo la festa si va al Raggae. Sao Luis è la capitale di questa musica, e qui si balla lentamente, stretti stretti al compagno o compagna. Il Raggae qui ha un colore soffice, innamorato.
Si dice che il Brasile è di mille colori perché ci sono così tante mescolanze di etnie, ma i colori qui non si vedono, si vivono. I colori qui escono dagli schemi, ci sono colori che non avevo mai sentito prima, che molti devono ancora scoprire. Non stanno mai fermi, le sfumature e le tinte si mescolano in continuazione, perché la vita qui non si osserva ma si indossa, si assorbe, ci si nutre finchè ti entra nel sangue e ti colora da dentro.
Il Brasile mi ha affascinato, mi ha coinvolto, mi è entrato nel cuore e nelle viscere, come una storia d’amore passionale e completa, anche se per poco tempo. È un amante che continua a vivere dentro di me, che mi chiama, e sicuramente sarò di nuovo fra le sue braccia.