Trecento chilometri a Nord di Buenos Aires si apre tra due fiumi, il rio Paranà e il rio Uruguay, la vasta e surreale regione di Entre Rios. Superata una piccola città industriale, di nome Campana, percorriamo, io e il mio compagno di viaggio, una lunga strada rettilinea che collega Buenos Aires e la Provincia di Entre Rios; da qui gli immigrati provenienti dall’Europa passavano per arrivare in Uruguay o verso il Nord.
La strada costeggia chilometri di campi agricoli e distese di mandrie di bestiame. Bestiame da macello. El bife di ojo e il chorizo. La vera ricchezza degli argentini. Percorrendo questa strada, l’orizzonte si perde nei campi, i colori corrono veloci accanto a noi e i pensieri sfuggono alla nostra mente. Il cielo è azzurro. Noi corpi di città non siamo abituati a vedere questo cielo, così ampio e aperto sopra di noi. È leggero.
Pochi chilometri prima della frontiera con l’Uruguay incontriamo la nostra amica Victoria. Ci aspetta sul ciglio della strada. È nata qui. Durante l’ultimo tratto in macchina ci racconta della sua famiglia. Ha origini italiane, il suo bisnonno arrivato in Argentina nei primi del Novecento da Como decise di acquistare terreni agricoli e costruire nella regione. Dopo di lui, il nonno e suo padre hanno preso le redini di questo mestiere. Usciti dalla strada principale seguiamo un piccolo sentiero e dopo pochi metri arriviamo al campo; i genitori di Victoria ci stanno aspettando.
In lontananza la casa di Victoria, tutta bianca è in contrasto con i colori che la circondano. La casa è immersa nelle piantagioni. Mais, soia e grano esplodono di fronte noi. All’orizzonte i confini delle loro terre pronte per il raccolto formano una distesa colorata. È appena iniziato l’autunno, i profumi e i colori non fanno altro che ricordarcelo. Un mare giallo. Un mare arancione. Un mare verde. Un mare di profumi e morbidezza. Una piacevole brezza soffia verso di noi da Nord, e dopo una giornata in macchina ci sembra quasi di aver imparato di nuovo a respirare a pieni polmoni.
Victoria ci racconta di quanto sia importante per loro questa casa. È stata proprio lei a progettarla. Un luogo che trasmette ciò che la loro famiglia ha costruito, del duro lavoro di suo padre, di avere un luogo per stare tutti insiemi e riunirsi. Un luogo per loro rassicurante come la loro terra. «Le semine – mi dice – cambiano con le stagioni. Ogni anno i colori, che abbandono per la città, tornano ad essere gli stessi anno dopo anno, qui il tempo sembra non passare, e poi l’autunno è la mia stagione preferita».
Appena arrivati in casa la mamma di Victoria ci accoglie con una torta di mele preparata con le sue mani. È buonissima! Non ci sembra vero di mettere qualcosa sotto i denti. Alla mamma le scappa un sorriso per come mangiamo in fretta la torta, ma al contrario più che il sorriso, mi colpiscono i suoi profondi occhi azzurri, nei suoi occhi e sul suo volto i lineamenti germanici accompagnano qualche ruga intorno agli occhi. È molto bella, mi dico, da giovane sarà stata bellissima.
Il padre, dopo aver messo dell’acqua a bollire, prepara la legna per la parilla. Una buona grigliata e del buon vino Malbec è quello che ci vuole per finire la giornata. L’acqua è ora calda e Victoria ci mostra come preparare un mate, la loro bevanda nazionale.
Il mate, diffuso in tutta l’Argentina, viene apprezzato soprattutto per le sue proprietà eccitanti. Dal frutto di questa pianta si ricavano i contenitori dove berlo e aggiungendo poi le foglie, essiccate e tritate, viene versata l’acqua e bevuto caldo. È pronto! Ci accomodiamo intorno ad un piccolo tavolo e iniziamo a bere. Uno alla volta. Mi sento a casa, forse più qui che a Roma, la città in cui sono nato. Le semine, i colori, il mate, la compagnia degli amici e di persone che ti fanno sentire a casa fanno respirare il vero sapore dell’Argentina e del Sud America. Centinaia di chilometri di distanza separano le nostre culture ma i sorrisi, l’allegria, le risate e le loro stesse vite sono parallele alle nostre. Un viaggio nel tempo.
Prima di cena ne approfittiamo per una passeggiata nei campi. Saliamo sul loro pickup, noi dietro nel vano aperto per ammirare al meglio il paesaggio davanti a noi. In seguito questa scelta risulterà piuttosto sbagliata: cinque minuti e veniamo assaliti dalle zanzare. Tra un prurito e l’altro arriviamo nel campo di mais. Lo spettacolo è surreale. Non ero mai stato in un campo di mais, e vederlo per la prima volta in Argentina mi fa venire i brividi. Il cielo sopra di noi si sta spegnendo e l’atmosfera mi fa venire voglia di rimanere per sempre qui. Sembra di essere in un film. Quelli in cui il protagonista scappa per nascondersi da qualcuno. Un bambino che corre impaurito da solo e trova rifugio tra gli alti steli di pannocchie. Ecco. Quel bambino sono io.
Ho un flash. Forrest Gump. Una grande e incontrollata felicità mi riempie il cuore. Timòn, il loro cane, inizia ad abbaiare e il suono mi risveglia dai miei pensieri. Bisogna ripartire, si sta facendo buio, urla il padre. Tornati a casa la brace è ormai pronta, la carne viene posizionata sulla griglia e poco dopo, da lontano, si scorgono delle luci di automobili. Con l’occasione che eravamo qui anche i cugini e la zia di Victoria ceneranno con noi. Finiti i saluti e le presentazioni apriamo il vino, è davvero buono. Iniziamo a scherzare. Il cugino sottolinea più volte che gli argentini superano di gran lunga gli italiani: «È più buono il nostro di vino, come la carne, il papa e Messi» urla, ed io non posso che dargli ragione.
Continuiamo a scherzare insieme sul vino e il calcio poi gli argomenti si fanno più crudi. Ci spiegano di come l’Argentina ha superato le varie crisi economiche del dopo guerra, di quando avevano poco e il dollaro statunitense stroncava la loro economia. Di come il loro Presidente Cristina sta di nuovo affossando la loro politica con corruzione e scandali, e che non vedono l’ora di andare alle elezioni. Sono molto ottimisti sul loro futuro politico e ci rassicurano che anche l’Italia si riprenderà. Noi quell’ottimismo – penso – l’abbiamo perso.
Continuiamo a bere, il clima è festoso. Un bambino rapisce la nostra attenzione raccontando una barzelletta su di un Gaucho e la Bibbia. La capiamo poco però alla fine ridiamo con lui. Un po’ per non dispiacere loro, un po’ perché il bambino era davvero bravo nel raccontare questa misteriosa storia e le sue espressioni arrivavano più delle parole.
Il cielo è ormai scuro e da lontano solo dei lampi illuminano l’orizzonte, da prima poetico e rosso fuoco ora quasi minaccioso a ricordarci di rispettarlo. Inizia a piovere. La tormenta è sempre più forte e ci costringe a levare tutto dalla tavola, spengere la brace e salutarci. Ci salutiamo come se ci conoscessimo tutti da una vita. Ci hanno accolto a braccia aperte e il dispiacere di andare via lascia spazio alla promessa di rivederci, magari chissà questa volta in Italia.
Anche noi andiamo a dormire, il giorno dopo saremmo tornati in Italia, un po’ brilli ma molto felici per aver assaporato grazie a loro il vero sapore dell’Argentina, e sicuri che questa giornata, Victoria e la sua famiglia, sarebbero rimasti per sempre dentro di noi.